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mercoledì 30 dicembre 2015

CAMPAGNA DI TESSERAMENTO 2016 DEL PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI



Guardiamo in faccia la realtà.
Per trent’anni le classi dirigenti d'Europa hanno imposto ovunque enormi sacrifici sociali , con l'argomento che avrebbero garantito un futuro migliore ai “giovani”. E' accaduto l'opposto. Le nuove generazioni sono state condannate al precariato, i loro diritti negati, le loro future pensioni distrutte, mentre capitalisti e banchieri si sono arricchiti per decenni come mai in precedenza.

Oggi, di fronte alla grande crisi del capitalismo , le stesse classi responsabili della bancarotta chiedono alle proprie vittime sacrifici ancor più pesanti, con l'argomento che assicureranno l' “uscita dalla crisi” e il “futuro dell'Europa”. Accade l'opposto. Dopo anni la crisi permane , l'Unione Europea delle banche si avvita nella recessione, mentre sprofondano le condizioni di vita dei salariati e di larga parte della popolazione.

La verità è che solo una rivoluzione sociale può fare pulizia.

Perché solo una rivoluzione sociale può rovesciare la dittatura degli industriali, delle banche, delle compagnie di assicurazione, con quel groviglio inestricabile di sfruttamento, speculazione, corruzione, che domina la vita sociale in ogni suo aspetto , sotto ogni governo, in ogni paese capitalista.


Aderire al PCL significa rafforzare questo lavoro e prospettiva.

Costruirlo, in ogni lotta, è il nostro impegno. Salvaguardare la sua autonomia, estendere le sue radici sociali, organizzare nelle sue fila i lavoratori e i giovani più coscienti, sviluppare la loro formazione, significa lavorare concretamente per il futuro della rivoluzione. Al fianco dei marxisti rivoluzionari di tutto il mondo, nel lavoro di ricostruzione della Quarta Internazionale.

Partito Comunista dei Lavoratori

COMUNICATO STAMPA Pcl Emilia Romagna



Contro la repressione dei militanti PCL colpiti dai fogli di via della questura e contro i licenziamenti

30 Dicembre 2015

Dopo mesi di lotta allo stabilimento Artoni di Cesena contro il licenziamento in blocco dei facchini della coop Stemi, sono stati colpiti colpiti da fogli di via – emessi dalla questura di Forli' – alcuni militanti del Partito Comunista dei Lavoratori e dei sindacati di base che hanno sostenuto la battaglia dei licenziati.

Sono mesi che i lavoratori dello stabilimento Artoni di Cesena stanno lottando per la difesa del proprio posto di lavoro. Si tratta di una battaglia vera, che vede contrapposta alla volontà padronale la determinazione di decine di lavoratori che si sono mobilitati più volte, attuando il blocco delle merci e dello stabilimento. Altre sedi dell'Artoni sono state coinvolte in scioperi e blocchi in solidarietà con i facchini di Cesena.

Nella loro lotta i facchini della Stemi-Artoni non sono rimasti da soli: al loro fianco si sono schierati altri compagni e compagne che li hanno sostenuti in questa dura vertenza, come nel caso dei militanti del Partito Comunista dei Lavoratori da subito in prima linea con loro.

È di assoluta gravità, quindi, la decisione della questura di Forlì di utilizzare lo strumento repressivo del foglio di via da Cesena per colpire chi si è battuto assieme ai lavoratori Stemi-Artoni. Tali provvedimenti hanno colpito nei giorni scorsi alcuni militanti del Partito Comunista dei Lavoratori, oltre che iscritti e dirigenti dei sindacati di base coinvolti nella vicenda.

La scelta della questura di Forlì non è un fatto isolato: già in molte altre province e regioni si assiste ad un uso frequente degli strumenti repressivi come il foglio di via e il divieto di dimora. Riteniamo che ciò sia il prodotto di determinate scelte governative che negano apertamente ogni dialogo col conflitto sociale e sindacale per affrontare il tutto solo in termini puramente repressivi.

Il governo Renzi, che già con la nuova legislazione del Jobs Act ha dimostrato di avere una concezione servile del lavoro dipendente, passa senza soluzione di continuità dai riflettori e dagli effetti speciali del nuovismo giovanilista della Leopolda alle più becere politiche in stile scelbiano: dal partito della nazione alla DC anni '50, un filo nero nel segno del padronato.

Di sicuro i lavoratori in lotta e il PCL non si faranno intimidire, anzi ritroviamo nei provvedimenti repressivi nuove ragioni per infondere il massimo impegno nel conflitto di classe.


Michele Terra Segr.Nazionale
Leandro Evangelista Coord. PCL Romagna

PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI

martedì 22 dicembre 2015

LA CRISI POLITICA IN SPAGNA. IL TRASFORMISMO DI PABLO IGLESIAS.



La crisi capitalista, la nuova miseria sociale, i movimenti sociali e di classe che hanno percorso la Spagna negli ultimi anni , hanno destrutturato, nel loro combinarsi, il panorama politico spagnolo, favorendo vasti processi di polarizzazione elettorale : da un lato l'ascesa di Podemos, a scapito prevalentemente del PSOE, dall'altro lo sviluppo del populismo liberista di Ciudadanos a danno prevalentemente del PPE. La risultante è lo scardinamento del sistema bipartitico di governo che ha retto la Spagna post franchista. I due partiti tradizionali dominanti che si sono alternati al governo negli ultimi 30 anni ( PSOE e PPE) avevano ancora complessivamente nel 2008 l'84% dei voti. Oggi raggiungono appena il 50%. Il PPE passa da 186 a 124 seggi. Il PSOE da 110 a 95.
LO STALLO DELLA POLITICA BORGHESE
La quadripartizione del sistema politico mette in crisi la governabilità spagnola.
Il PPE, pur restando il partito più votato ( 29%), non dispone della maggioranza necessaria per governare ( 176 seggi), neppure con l'eventuale lasciapassare di Ciudadanos. Un governo di unità nazionale tra PPE e PSOE è richiesto a viva voce dal capitale finanziario europeo, dal grosso della borghesia spagnola e della sua stampa ( El Pais), da ambienti politici trasversali ai due partiti maggiori, quale “unica possibile garanzia di stabilità”. Ma significherebbe un suicidio politico del PSOE a favore di Podemos, tanto più a ridosso di una campagna elettorale in cui il segretario del PSOE ( Pedro Sanchez) si è presentato in contrapposizione frontale a Rajoy per cercare di frenare l'emorragia a sinistra.
Una maggioranza di governo tra PSOE, Podemos, Izquierda Unida, e partiti “nazionalisti” locali sarebbe formalmente possibile, con uno schema di tipo portoghese . Ma è ostacolata dalla rivendicazione di Podemos di un referendum sull'autodeterminazione catalana, e incontra forti resistenze all'interno del PSOE , in particolare negli ambienti ostili alla sua attuale segreteria (che sono tutt'altro che marginali). Da qui l'apparente vicolo cieco. Che consegna al Re di Spagna una responsabilità non più notarile nella gestione della crisi politica.
IL TRASFORMISMO SPREGIUDICATO DI PODEMOS
Podemos è di fronte alla prova della verità. Nato come proiezione elettorale del movimento di massa degli Indignados nel 2011, su un programma riformista “ sociale e democratico”, attorno alla figura mediatica di Pablo Iglesias, Podemos ha conosciuto nell'ultimo anno una parabola trasformista spregiudicata in direzione di una progressiva “normalizzazione”. Tutta la politica di Iglesias ha mirato sempre più a connotare Podemos come forza “nè di destra né di sinistra”, dominata dall'ansia della propria legittimazione quale “responsabile soggetto di governo” agli occhi
della borghesia spagnola e del suo Stato . Il programma sociale è stato depurato degli aspetti più “radicali” ( sul debito, l'età pensionabile, la riduzione dell'orario..) per essere presentato ufficialmente agli ambienti confindustriali (e persino al FMI !) come garanzia di realismo. La politica estera ha pienamente recuperato l'accettazione dell'Unione Europea e della Nato, sino a ricercare ascolto e attenzioni delle ambasciate straniere a Madrid durante la stessa campagna elettorale.
La politica istituzionale ha abbandonato l'opzione repubblicana, ha ripetutamente lodato la “nuova” monarchia di Re Felipe VI, ed oggi rivendica “un nuovo compromesso storico” tra tutte “le forze sane del Paese” nel solco della continuità del patto della Moncloa del 1978. La candidatura a ministro della Difesa nelle liste di Podemos di un ex capo di stato maggiore dell'esercito spagnolo, e la solenne dichiarazione di “lealtà allo Stato” dopo l'uccisione di un militare spagnolo in Afghanistan , hanno suggellato simbolicamente il nuovo corso. “ Podemos si è
trasformato in una forza matura per guidare il cambiamento” ha dichiarato Iglesias a El Pais ( 18 Dicembre) per rassicurare la borghesia.
Già come forza di opposizione Podemos è dunque dominato dall'ambizione di governare il capitalismo spagnolo. Da qui le aperture alle coalizioni col PSOE nelle amministrazioni locali. Da qui la proposta rivolta al PSOE di un governo comune su scala nazionale. Vedremo se la dinamica politica della crisi spagnola, che si annuncia lunga e complessa, aprirà un varco alle ambizioni governative di Iglesias. Ma quel che è certo è esattamente ciò che rimuove lo sguardo incantato di tanta sinistra italiana: l'accesso di Podemos al governo di Spagna a braccetto col PSOE sarebbe
l'esatto opposto dell'”alternativa” e del “vero cambiamento”. Segnerebbe la sua compromissione nella gestione della quarta potenza capitalistica ( e imperialistica) dell'Europa continentale. E l'inevitabile delusione delle aspettative di svolta raccolte da Podemos in cinque anni. Come con Syriza in Grecia.

PER LA COSTRUZIONE DI UN PARTITO CLASSISTA, RIVOLUZIONARIO, INDIPENDENTE.
In Spagna, come nel resto d'Europa , la lotta per una vera alternativa è inseparabile dalla prospettiva di un governo dei lavoratori, basato sulla loro forza e la loro organizzazione. La crisi profonda degli equilibri politici e istituzionali del Paeseassieme alla deriva trasformista di Podemos, possono aprire uno spazio nuovo a questa battaglia , dentro le lotte e i movimenti d'opposizione. Non si tratta
di autoconfinarsi in una “corrente d'opinione responsabile” di Podemos come fa “Sinistra Anticapitalista” di Spagna, giunta ad espellere dalla propria organizzazione i settori che rifiutano la capitolazione ad Iglesias. Nè si tratta di esaltare la “dinamica oggettiva” di Podemos, quale portato delle lotte, come hanno fatto ripetutamente i sodali spagnoli di Falce e Martello . Si tratta invece di lavorare in tutte le contraddizioni apertesi, dentro Podemos e fuori da Podemos, per costruire un
partito classista, rivoluzionario, indipendente. Di certo le responsabilità di una sinistra classista e rivoluzionaria in Spagna saranno chiamate in causa dall'intero sviluppo dello scenario politico.

PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI

giovedì 17 dicembre 2015

Armando Cossutta La realpolitik della bandiera



«Cossutta o non Cossutta, l'Ulivo è alla frutta». Così suonavano le conclusioni di un vecchio articolo di Giampaolo Pansa, a commento del naufragio della prima esperienza nazionale della coalizione di centrosinistra, due decenni fa. Correva il movimentato ottobre del 1998, e la (unitarissima) Rifondazione Comunista a salda guida Bertinotti-Cossutta stava per spaccarsi in due come una mela sulla questione del rapporto con il governo Prodi, portato al successo delle urne un paio di anni prima proprio dall'allegra ammucchiata ulivista.
Armando Cossutta - allora presidente di Rifondazione - separandosi in quel momento da Bertinotti fu l'artefice, in buona compagnia di Cossiga e Mastella, del salvataggio in extremis del centrosinistra a trazione PDS. Da allora in avanti, la sua nuova creatura (il Partito dei Comunisti Italiani) continuò invariabilmente ad essere ed a concepirsi come l'appendice organica sinistra dell'area politica di centrosinistra; il suo confine sinistro, responsabile e "di governo", che assicurava stabilità e affidabilità al "campo progressista", opposto alle destre.

Da quel periodo è passata molta acqua sotto i ponti, e ai soggetti politici in questione (PRC e PdCI) nulla rimane dei fasti di allora. La Rifondazione Comunista bertinottiana, che per un tratto sembrò incarnare le aspirazioni di molti ad una vera presenza comunista e antagonista, finalmente slegata dal cappio dell'alleanza con i partiti borghesi, fu ben presto risucchiata, o per meglio dire ricondotta nell'alveo del centrosinistra, e quindi dell'inumazione dei propri stessi principi di esistenza politica. Nelle intenzioni di tutti i gruppi dirigenti della sinistra riformista, di ieri e di oggi, l'Ulivo era ed è tutt'altro che alla frutta.
Dove abbia portato questa storia è, oggi, cosa fin troppo facile a vedersi. Ma i primordi quella stagione, il suo senso politico, pur nell'archiviazione successiva più o meno definitiva dei suoi singoli momenti e delle sue figure di riferimento (lo stesso Armando Cossutta è oggi sconosciuto ai più, e certamente ai militanti più giovani), continuano a riprodursi immodificabili nelle vicende e nelle logiche di quel che resta della sinistra italiana, anche in ambiti apparentemente più distanti da quelli dei diretti eredi dei protagonisti di allora.

Da questo punto di vista, la figura di Cossutta acquista tutta l'emblematicità del caso, rappresentando l'impersonificazione di posizioni politiche i cui peculiari tratti somatici sono appartenuti e appartengono a larga parte della sinistra italiana - e non solo a quella di derivazione PCI - al di là delle sigle e dei contenitori di volta in volta coinvolti.
Cossutta è stato infatti non solo il dirigente più filosovietico del PCI, "l'uomo del Cremlino" in Italia, il custode più strenuo dell'identificazione simbolica e del legame del PCI con l'URSS burocratica brezneviana. È stato allo stesso tempo, ben prima di divenire salvatore dell'Ulivo, l'uomo delle "larghe intese" (non si oppose al compromesso storico, salvo poi concedere, nel 1997: «Quando Togliatti realizzò il suo compromesso c'erano motivazioni storiche vere. Negli anni '70 è stato chiamato compromesso, che di storico non aveva nulla, un'intesa deteriore che ha portato a sostenere il governo Andreotti»), l'uomo delle prime alleanze di governo del PCI con la DC e con gli altri partiti borghesi nei comuni e nelle regioni (da responsabile Enti locali del partito), l'uomo dell'ordine e delle maniere forti contro l'estrema sinistra.

Non può stupire, quindi, che la sua eredità e il richiamo alla sua figura vengano oggi rivendicati trasversalmente dai cattolici del PD fino a Marco Rizzo, passando per Cuperlo e Ferrero. Quello di Cossutta e del cossuttismo è stato il marchio di fabbrica del "grande equivoco" attraverso il quale quella parte della sinistra che più teneva fieramente alzata la propria bandiera "comunista" e ben in vista i propri cimeli di famiglia (contro chi voleva sbarazzarsene) accettava e introiettava le logiche del sistema liberale capitalista e si predisponeva alla sua gestione non diversamente e in misura non minore di quanto facessero i più "spregiudicati" Berlinguer, Napolitano, Occhetto (e magari per qualcuno Togliatti). Sempre tenendo ben alta la bandiera, con la quale si copre la ferrea necessità stringente della collaborazione di classe. Ieri con la DC e i DS, oggi con il PD. Sempre in nome, beninteso, dell'"autonomia", della "indipendenza", della "diversità" e via dicendo dei comunisti.
Il "non c'è alternativa" cossuttiano del 1998 veniva da lontano, molto lontano, e sarebbe risuonato ancora a lungo. Anche in assenza, ormai, di cimeli da esibire.

Infine una nota sulla sorte ingrata della parabola politica di Cossutta. Il suo destino è stato quello di essere divorato ciclicamente dai propri partiti e dalle proprie creature politiche. Così è stato nella storia grande del PCI, dove da numero due del partito dopo Berlinguer subì un progressivo declassamento e marginalizzazione per via della sua relazione diretta col Cremlino. Così è stato nella storia di Rifondazione Comunista, dove da fondatore e presidente del PRC si vide sfilare il partito dalle mani proprio dal segretario da lui prescelto (Bertinotti). Così è stato infine nella piccola storia del Partito dei Comunisti Italiani, dove da fondatore e presidente della nuova formazione subì nuovamente l’onta della propria emarginazione e umiliazione da parte dei suoi prediletti figli politici (Diliberto e Rizzo). Con l’amarezza ogni volta di vedersi tradito da partiti di cui si considerava “proprietario” in quanto custode dell’apparato. Dunque lo stesso stalinismo che lo forgiò e ne formò la cultura lo trasformò ciclicamente nella propria vittima. Lungo una parabola declinante che fu, in definitiva, la metafora personale e biografica del crollo dello stalinismo italiano e mondiale. In questo senso Cossutta è stato a suo modo un’espressione organica della storia del movimento operaio.

Se. Fe.

venerdì 11 dicembre 2015

Per una soluzione anticapitalista della crisi bancaria



Il salvataggio di quattro banche (Popolare Etruria, Banca Marche, CariFerrara e CariChieti) per mano di un decreto del governo ha riproposto clamorosamente la questione bancaria in Italia.

130.000 risparmiatori lamentano l'esproprio delle proprie ricchezze. L'ABI lamenta gli oneri pagati dalle grandi banche per salvare le piccole, protestando presso Bankitalia. Bankitalia lamenta la preclusione opposta dalla UE al salvataggio delle banche con fondo pubblico. La UE dichiara che la scelta è stata delle “autorità italiane”. Le “autorità italiane”, ossia il governo Renzi, rivendicano la riduzione del danno e il salvataggio dei correntisti, lamentando tuttavia le “rigidità della UE”.
Questa giostra dello scaricabarile lascia sul terreno un solo dato certo: la realtà criminale del capitalismo e la complicità di tutti i suoi gestori.


LA REALTÀ CRIMINALE DEL CAPITALE

È accaduto qualcosa di molto semplice. La crisi capitalista ha pesato sulle banche italiane, creando una massa di 130 miliardi di crediti “deteriorati”, cioè di soldi che non torneranno indietro. Le banche hanno cercato di liberarsi di questa zavorra in mille modi: licenziando i propri dipendenti, chiudendo sportelli e filiali, appesantendo commissioni e mutui, ma anche piazzando titoli e obbligazioni spazzatura presso la propria clientela (propri dipendenti inclusi), col metodo ordinario della truffa. Bankitalia e Consob, le cosiddette strutture della “vigilanza”, hanno coperto l'operazione truffaldina. Ma l'operazione è spesso fallita, in particolare nel caso di diverse banche locali. È il caso delle quattro banche in questione (tosco-emiliane, marchigiane, abruzzesi), ma anche di importantissime banche venete. A questo punto subentra il “salvataggio” delle banche fallite, sotto l'egida del governo, attraverso due leve tra loro combinate. Da un lato interviene il soccorso delle banche maggiori che iniettano 3,6 miliardi nella ricapitalizzazione delle banche fallite, dopo aver ottenuto una adeguata compensazione fiscale dal governo (riduzione dei contributi dovuti, a tutto danno dell'erario pubblico). Dall'altro lato si azzerano due miliardi e mezzo dei piccoli azionisti e creditori delle banche, prima truffati dai banchieri e poi chiamati a risanare il loro crack coi propri fondi. Il risultato è la “salvezza delle banche”, con vanto e gloria del governo Renzi. In realtà si è coperta la loro rapina, usando il portafoglio delle sue vittime.


LA SVOLTA EUROPEA NEI SALVATAGGI BANCARI

Il caso delle quattro banche minaccia di andare ben al di là di un episodio di cronaca. Anticipa e fotografa con cruda efficacia la nuova normativa sui fallimenti bancari concordata tra i governi capitalisti in sede UE, e che entrerà in vigore dal 1 gennaio 2016. I salvataggi delle banche fallite con soldi pubblici non saranno più consentiti. Le banche fallite saranno “salvate” dalle ricchezze dei propri azionisti e correntisti (dai depositi superiori ai 100.000 euro). È una delle forme di tutela del Fiscal Compact. Questo rappresenta una minaccia per centinaia di migliaia di piccoli risparmiatori, soprattutto a fronte delle fragilità del capitale bancario in Italia. Negli anni della grande crisi, i principali governi capitalistici europei hanno salvato le proprie banche con una pioggia gigantesca di risorse pubbliche (altro che liberismo!), a carico dei contribuenti (principalmente i lavoratori) e delle prestazioni sociali. Il capitalismo italiano, già gravato da un abnorme debito pubblico, non ha potuto fare altrettanto. Oggi il carico di una crisi bancaria irrisolta si manifesta in tutta la propria ampiezza proprio nel momento in cui si chiude giuridicamente lo spazio del soccorso pubblico. Da qui la minaccia incombente su significativi settori di piccola borghesia e di popolo risparmiatore.


I CIARLATANI BORGHESI NON SANNO CHE PESCI PRENDERE

Ma qual è la possibile soluzione alternativa?
I partiti di governo del capitalismo non sanno che pesci prendere. Ed è spassoso constatare che i più severi fustigatori degli “eccessi e sprechi della spesa pubblica” (quando si tratta di pensioni, sanità, scuola, contratti pubblici) si riscoprono improvvisamente nostalgici delle statalismo quando si tratta del soccorso pubblico alle banche. «La Merkel ha speso 247 miliardi a sostegno delle proprie banche, i precedenti governi italiani hanno preferito non intervenire, e ora la situazione è questa» ha testualmente dichiarato il capo del governo al Corriere della Sera (6 dicembre). «La Germania ha soccorso le proprie banche con risorse pubbliche, perché non dovrebbe essere possibile un intervento analogo per salvare Banco Veneto e la Banca Popolare di Vicenza?» dichiara Luca Zaia, governatore leghista del Veneto, sulle compiacenti pagine di Libero (8 dicembre). I partiti borghesi di governo e di opposizione sognano la possibilità di scaricare sul portafoglio dei lavoratori il salvataggio congiunto dei banchieri e dei piccoli risparmiatori loro elettori. Ma non potendo salvare entrambi salvano i banchieri e il loro sistema, sempre a carico dei lavoratori (esenzioni fiscali per le banche soccorritrici), con qualche salvagente “umanitario” (bucato) per una piccola minoranza di risparmiatori truffati.
Il M5S che strilla contro il governo non va oltre la rivendicazione della liberazione delle banche “dai politici” e la richiesta di una “vera vigilanza di Bankitalia”: riproponendo l'eterna illusione piccolo-borghese in un possibile capitalismo etico e sano; in realtà cercando di organizzare la piccola borghesia contro il PD per farne sgabello del proprio progetto reazionario e plebiscitario contro il lavoro.
Quanto alle sinistre riformiste, interamente impegnate nella tela di Penelope della propria unificazione alla vigilia delle elezioni amministrative, è troppo attendersi una qualsivoglia proposta alternativa al ricettario delle “soluzioni” borghesi. La bussola strategica di un nuovo centrosinistra la esclude pregiudizialmente dal loro orizzonte.


LA NAZIONALIZZAZIONE DELLE BANCHE: UNICA SOLUZIONE A VANTAGGIO DEI LAVORATORI E DEL PICCOLO RISPARMIO

La verità è che l'unica soluzione alternativa seria della crisi bancaria italiana passa più che mai attraverso drastiche misure anticapitaliste. Ogni salvataggio delle banche nell'attuale economia di mercato comporta il sacrificio, comunque distribuito, di lavoratori e piccoli risparmiatori. Cioè delle vittime della rapina bancaria. Solo la nazionalizzazione delle banche, senza indennizzo per i grandi azionisti, e sotto il controllo dei lavoratori; solo la concentrazione delle banche in una unica banca pubblica, possono spezzare alla radice la dittatura del capitale finanziario, a tutela dei lavoratori e dello stesso piccolo risparmio.

Il PCL è l'unico partito della sinistra che dagli anni della grande crisi ha fatto della rivendicazione della nazionalizzazione delle banche un asse centrale della propria proposta. Perché è l'unico partito a battersi per un governo dei lavoratori, basato sulla loro organizzazione e la loro forza. Lo svolgimento della crisi bancaria in Italia ripropone in tutta la sua attualità questa rivendicazione fondamentale.

Partito Comunista dei Lavoratori

giovedì 3 dicembre 2015

Manifestazione in occasione dell'anniversario della strage di Piazza Fontana

Sabato, 12 Dicembre 2015 alle ore 15,30 - Porta Venezia Milano

Il Pcl promuove unitamente al Coordinamento delle forze 
antifasciste la manifestazione in occasione della ricorrenza 
della strage di piazza Fontana ed invita tutti i militanti e 
simpatizzanti a parteciparvi.

mercoledì 2 dicembre 2015

COP21: LA CONFERENZA MONDIALE DELL’ IPOCRISIA CAPITALISTA



Domenica 29 Novembre a Parigi in Piazza della Repubblica il governo Hollande ha dato ordine di reprimere e spazzare via ogni dissenso alla grande farsesca rappresentazione delle potenze mondiali in difesa del clima (COP21). In nome della “finta” sicurezza per tutta la giornata si sonno succedute cariche e centinaia di arresti. Le mobilitazioni sostenute in particolare dalle organizzazioni di sinistra, tra le quali NPA e Alternative Libertaire, hanno cercato di portare un forte segnale di lotta anticapitalista al grande processo di restaurazione mondiale dove il clima fa da cornice teatrale.
Il messaggio che questa conferenza vuole imporre al consenso universale sarebbe quello che il capitalismo è l’ unico mezzo e l’ unico percorso possibile per fermare la catastrofe ambientale che esso stesso ha generato e che sta perseguendo. La causa diventa anche la mitologica e falsa soluzione.
Un recente studio della banca mondiale è sfacciatamente agghiacciante nella sua stessa crudezza. Il senso è questo: è improrogabile gestire l'impatto del cambiamento climatico sulla povertà, dove sono a rischio le comunità più povere del mondo. Secondo questo rapporto, se non si interviene subito in un supporto alla difesa ambientale sul controllo climatico più di 100 milioni di esseri umani saranno gettati dal benessere alla povertà estrema entro il 2030 e le comunità oggi più povere verranno cancellate per sempre. Si parla di grandi numeri che sfiorano il miliardo di persone.
Questo studio arriva in sintonia con un piano dell’ ONU in 17 punti tanto propagandato anche dai maggiori media vicini agli interessi dei principali colossi finanziari prima dell’ apertura dei lavori del COP21 di Parigi. Il primo degli obiettivi di sviluppo concordati dalle Nazioni Unite è quello di "porre fine alla povertà in tutte le sue forme in tutto il mondo".
La tappa intermedia nell'ambito del presente obiettivo è quello di dimezzare il numero di persone che vivono in condizioni di povertà e sradicare la povertà più estrema entro il 2030.
Il termine di estrema povertà è definito per quegli individui che vivono con meno di 1,25 dollari al giorno. Attualmente è stimato 1 miliardo di persone in questa categoria.

Il messaggio tanto strombazzato dalla Banca Mondiale è questo: se continuiamo sul nostro attuale percorso di riscaldamento rapido e la conseguente disuguaglianza crescente gli obiettivi di ambiziosi come quello indicato saranno impossibili da raggiungere.
La realtà è molto peggiore di quella descritta.
L’ impatto più grave verrà attraverso la picchiata dei rendimenti in agricoltura. Secondo studi macroeconomici i raccolti potrebbero diminuire a livello mondiale fino al 5% entro il 2030 e 30% entro il 2080.
Il calo dei rendimenti hanno la conseguenza di generare un rapido aumento dei prezzi dei prodotti alimentari che, (nel 2008 avevano spinto spinto tra l’ altro circa 100 milioni di persone nella povertà più nera). Un altro studio citato nella relazione della Banca Mondiale rivela che in molte parti dell'Africa e dell'Asia l’ adeguamento dei prezzi legati al clima potrebbe aumentare i tassi di povertà per le famiglie non agricole del 20-50%. Questa situazione sarà aggravata Questa fosca previsione aggravata dall'impatto dei cambiamenti climatici sugli ecosistemi.
Il rapporto non tenta lo stesso tipo di quantificazione degli effetti in questo settore, e non è preso in considerazione in cifre importanti sulla povertà. Tuttavia, si osserva che l'impatto potrebbe essere catastrofico per le piccole nazioni insulari o le zone costiere a livello delle acque oceaniche che saranno rese completamente inabitabili a più lungo termine.
La crescente frequenza di eventi meteorologici estremi e le catastrofi naturali come la siccità, inondazioni e incendi è un altro ambito di fortissima preoccupazione. La relazione sottolinea che in lo scenario di alte temperature al suolo (l'ondata di caldo in Europa nel 2003 stima che abbia ucciso più di 70.000 persone) sarà costante fino alla fine del XXI secolo .

Secondo il rapporto, il numero di giorni di siccità potrebbe aumentare di oltre il 20% nella maggior parte del mondo entro il 2080. Ci sono poi le possibili devastanti inondazioni con il numero di persone esposte in aumento fino al 15% entro il 2030 e 29% entro il 2080.

L'ultimo aspetto preso in esame nella relazione è la salute. Le malattie che colpiscono in modo sproporzionato le comunità più povere, come la malaria e la diarrea, dovrebbero aumentare con il riscaldamento globale . Secondo il rapporto, l’ aumento di 2 ° C o 3 ° C potrebbe accrescere il numero di persone a rischio per la malaria del 5% che in termini assoluti sarebbero150 milioni di persone".
I morti per l'inquinamento sono in decisa crescita. Il rapporto cita uno studio che dimostra che il cambiamento climatico potrebbe causare in un solo anno 100.000 morti premature associate all'esposizione alle micro particelle e morti premature associati all'esposizione all'ozono in più di 6000.
Inoltre le deforestazioni in nome del profitto come per le immense aree dell’ Indonesia depredate per la produzione dell’ olio di palma o dell’ Amazzonia destinate all’ allevamento di bestiame, le intere aree nordamericane devastate dalla produzione dello Shale gas sono solo la punta dell’ iceberg della rapida diminuzione del polmone di ossigeno delle grandi foreste.

Questo è il futuro ci aspetta in un mondo di rischi ambientali e il riscaldamento globale.
I paesi più ricchi quelli appunto le cui attività economiche hanno contribuito di più al cambiamento climatico saranno in grado di scongiurare gli effetti peggiori. I paesi poveri già in precaria esistenza saranno sempre più minacciati: le catastrofi naturali, fame e malattie diventeranno la normalità da cui ci sono poche possibilità di uscita.
La Banca Mondiale indica ai governi di trovare rapidamente soluzioni per costruire strutture di sostegno, infrastrutture, sanità, benessere e quant’altro possa aiutare le comunità povere ad adattarsi agli effetti dei cambiamenti climatici . Accanto a questo, si sostengono misure, quali gli investimenti nelle energie rinnovabili e dei trasporti pubblici, che possono aiutare a raggiungere l'obiettivo di limitare il riscaldamento a lungo termine tra 2 e 3 gradi Celsius.
Obbiettivi assolutamente logici ma decisamente falsi perché di fronte alla crisi climatica ed ambientale il sistema capitalistico non arretrerà di un centimetro per limitare il profitto delle imprese, delle multinazionali, le sue bolle speculative e gli immensi paradisi fiscali.
Perché la richiesta di andare verso un sistema energetico fatto di energie rinnovabili è una pura chimera? La risposta la da la stessa Banca Mondiale quando palesa smentendo se stessa, che tutti questi investimenti, risorse e progetti sono più convenienti se utilizzati nelle comunità e nei paesi più ricchi piuttosto che in quelli poveri e lasciando quindi questi ultimi al loro destino.
Questo è il cuore del problema. Il capitalismo è centrato sul profitto e quindi la sua priorità si dirige dove questo è più alto, più rapido e più replicabile. Le potenze economiche continueranno a seguire gli stessi percorsi senza avere nessun riguardo verso l’ ambiente e la salvaguardia delle popolazioni più povere e del loro territorio. L’ analisi della banca mondiale però può fornire qualche informazione sulle minacce economiche che il cambiamento climatico rappresenta per il mondo più povero.
Ma le prescrizioni “bancarie” contenute nella relazione, come la costruzione di nuove infrastrutture per la mobilitazione di risorse private coinvolge implicitamente i soliti attori con i soliti metodi: neocolonialismo, guerre e territori depredati.
Hollande, Obama e perfino reazionari come Erdogan riciclano la loro immagine a Parigi diventando improvvisamente paladini dei poveri. La grande farsa sta proprio in questa grottesca immagine.
Solo il cambiamento del modello di società in senso socialista può fermare la barbarie e raggiungere l’ equilibrio tra i bisogni umani e l’ambiente. Solo l’ abbattimento del capitalismo e del dominio della classe borghese può salvarci dalla catastrofe.
(Quel che ora si deve fare è di dirigere con piena coscienza tutta la forza del proletariato contro le principali fortezze della società capitalistica. In basso, dove ciascun imprenditore ha di fronte a sé i suoi schiavi salariati, in basso dove tutti gli organi esecutivi del dominio politico di classe si trovano di fronte all'oggetto del loro dominio, alle masse, là dobbiamo passo passo strappare dalle mani dei nostri dominatori i loro strumenti di potere e porli nelle nostre mani.

Ruggero Rognoni

giovedì 26 novembre 2015

COMUNICATO STAMPA



Il Partito Comunista dei Lavoratori della Lombardia esprime ferma condanna agli attacchi a dieci sedi della Caritas avvenute nella nostra regione ed in altre città del Nord Italia e rivendicate dai fascisti di Veneto Fronte Skinheads. E' l'ennesimo tentativo di cavalcare e sfruttare indegnamente il senso diffuso di timore e disagio seguito ai recenti attentati in Francia.

Solo l'unità tra lavoratori italiani ed immigrati potrà opporsi efficacemente sia al terrorismo fondamentalista religioso che ai fascisti che hanno più volte sfregiato il nostro Paese con attentati altrettanto cruenti ed indiscriminati.

Partito Comunista dei Lavoratori
Coordinamento regionale lombardo

lunedì 23 novembre 2015

LA VERGOGNOSA CAPITOLAZIONE DEL FRONT DE GAUCHE



Il governo dell'imperialismo francese ha non solo varato un piano di estensione dei bombardamenti in Siria e di rilancio della presenza francese in Africa. Ha anche imposto una pesante restrizione delle libertà democratiche all'interno del paese.

Tra il 19 e il 20 novembre il Parlamento francese è stato chiamato a votare un prolungamento di tre mesi dello stato di emergenza, che recupera misure reazionarie varate durante la guerra coloniale d'Algeria. Vengono proibite le manifestazioni pubbliche. Si ampliano i poteri di polizia in fatto di “domicilio coatto extragiudiziale” per tutti coloro che vengono giudicati “pericolosi” in base a “comportamento, frequentazioni, affermazioni o progetti”. Si sancisce il potere di “proibizione” di “associazioni o gruppi che incitano ad azioni di turbamento dell'ordine pubblico”.
Un piano di misure che fa leva sulla paura provocata dalla strage terrorista di Parigi per colpire le libertà e gli spazi dell'opposizione di classe e di massa, intimidire le avanguardie politiche e sociali, imporre un riflesso d'ordine più generale nella società.
Un piano di misure talmente reazionario da incassare non solo il plauso (significativo) della Confindustria francese (Medef) ma il voto di tutta la destra. Non solamente di Sarkozy e dei gollisti, ma anche di Marine Le Pen e del blocco più forcaiolo di estrazione fascista (Front National). Il quale si è limitato a rimproverare il governo per aver tardato ad attuare misure tanto importanti, rigorose e patriottiche.

Ebbene: il Front de Gauche - espressione francese della Sinistra Europea “di Tsipras” - ha votato all'unanimità il piano reazionario del governo Hollande, al fianco della destre e di Marine Le Pen. Solo tre parlamentari della sinistra interna del Partito Socialista e tre parlamentari dei Verdi hanno votato contro. I parlamentari della sinistra cosiddetta... “radicale” hanno compattamente votato a favore, in tutte le loro articolazioni interne. Così hanno fatto deputati e senatori del PCF. Così hanno fatto deputati e senatori del Parti de Gauche. Il cui segretario Mélenchon ha sentito il bisogno di accompagnare il voto con un pubblico richiamo all'“unità della Francia e dei francesi, al di sopra delle classi e delle parti politiche”.
L'“Union Sacrée” ha dunque fatto il proprio ritorno a Parigi. Gli amici francesi di Tsipras, solidali col governo greco nella sua capitolazione alla troika, hanno capitolato a loro volta al proprio imperialismo e al suo attacco a libertà e diritti. Una vergogna.

È la conferma di una verità elementare: solo una sinistra rivoluzionaria e anticapitalista è capace di tenere la schiena dritta nella difesa di libertà e diritti. Mentre la sinistra “democratica” del capitalismo finisce col capitolare sullo stesso terreno della democrazia, inchinandosi alla bandiera del proprio imperialismo.


Partito Comunista dei Lavoratori

venerdì 20 novembre 2015

Lettera aperta ai compagni e alle compagne di Rifondazione Comunista



PER MANTENERE UNO SPAZIO POLITICO CLASSISTA E ANTICAPITALISTA, PER RILANCIARE UN PROGETTO COMUNISTA E RIVOLUZIONARIO









Cari compagni e care compagne,
il Comitato Nazionale del vostro partito (7/8 novembre 2015) ha di fatto avviato lo scioglimento del PRC nella cosiddetta costituente della “sinistra italiana” che partirà a gennaio.
Il referendum interno serve a dare convalida formale ad una scelta pubblica già compiuta e già annunciata da parte della Segreteria nazionale del PRC.
Che questa sia la scelta, quale che sia il giudizio di merito, non può essere motivo di dubbio. Il richiamo formale al PRC e al suo “rafforzamento” che la mozione della Segreteria contiene serve a indorare (e a nascondere) con parole auliche una scelta reale esattamente opposta: quella di dissolvere il vostro partito in un contenitore più ampio, diretto dai gruppi dirigenti di SEL e di ex bersaniani del PD.


IL PRC SI SCIOGLIE IN UNA GRANDE SEL (... UN PO' PIÙ “A DESTRA”)

La vostra Segreteria afferma che il processo costituente della sinistra italiana si fonda sulla comune accettazione del “superamento del centrosinistra”. È falso. Com'è del tutto evidente, i gruppi dirigenti di SEL ed ex bersaniani muovono in una direzione dichiaratamente opposta: quella di “ricostruire il centrosinistra”, oggi precluso dal renzismo. Per questo preservano centinaia di assessori in tutta Italia nelle giunte di centrosinistra, nonostante Renzi. Se alle prossime elezioni amministrative, nella maggioranza dei casi, sceglieranno di presentarsi autonomamente e in alternativa al PD è perché il renzismo ha rotto i vecchi equilibri del “caro centrosinistra”: per ricomporre il centrosinistra occorre dunque contrapporsi a Renzi, ricostruire un proprio pacchetto di consenso, e poi ribussare alle porte del PD. Sperando che ad aprire la porta torni, prima o poi, il caro vecchio Bersani. Non solo: proprio per rafforzare nella stessa composizione del nuovo soggetto la vocazione programmatica del centrosinistra, i gruppi dirigenti di Sinistra Italiana vogliono aprirlo a settori cattolico-ulivisti del tutto estranei ad ogni tradizione politica e culturale della sinistra. Il respingimento pubblico e sdegnato dell'appellativo giornalistico di “cosa rossa” cos'è se non il riflesso di tutto questo?

L'argomento consolatorio secondo cui il “processo costituente sarà dal basso” e “conteranno le nostre idee” capovolge la realtà dei fatti. Tutto il processo è decollato dall'“alto”. Prima dall'accordo tra i gruppi dirigenti delle diverse formazioni e soggetti, inclusa la vostra Segreteria. Poi dall'iniziativa pubblica e pubblicizzata dei gruppi dirigenti e parlamentari di SEL e degli ex bersaniani, che hanno attivato la presentazione in tutta Italia del nuovo soggetto, ben prima dell'assemblea di gennaio. Gruppi dirigenti di SEL ed ex bersaniani che già godono in partenza della rendita di posizione di unica rappresentanza parlamentare della nuova formazione (assieme a Civati) da qui alle prossime elezioni politiche: con l'enorme peso condizionante che questo fatto esercita sulla costituzione materiale del nuovo soggetto, la sua presenza mediatica, la sua immagine pubblica, la selezione materiale delle sue rappresentanze sul territorio. La presenza diffusa all'atto di presentazione a Roma di Sinistra Italiana di settori di burocrazia CGIL, ARCI, vecchio associazionismo di estrazione PD, reso orfano del renzismo, prefigura gli equilibri interni reali alla nuova formazione, e la dinamica annunciata della sua evoluzione, più di mille rassicurazioni formali. La conclusione è semplice: la vostra Segreteria nazionale avvia lo scioglimento del PRC in un contenitore diretto (politicamente, culturalmente, organizzativamente) da un personale politico del tutto organico alla tradizione di governo del centrosinistra. Dunque alla gestione capitalistica della crisi. La difesa platonica e formale della “ragione comunista” da parte di Paolo Ferrero potrà forse valere sul terreno negoziale con gli altri soggetti della Costituente in ordine alla salvaguardia di singoli ruoli dirigenti. Ma nessuna riserva indiana per dirigenti nazionali del PRC potrà mascherare lo scioglimento e la liquidazione del partito entro un nuovo soggetto politico cui spetterà, non a caso, la piena sovranità delle scelte elettorali, politiche, istituzionali.


UN EPILOGO ANNUNCIATO

Non siamo meravigliati dal triste epilogo della parabola di Rifondazione. Quando rompemmo col PRC nel momento del suo ingresso nel governo Prodi, con tanto di ministri (Ferrero) e cariche istituzionali (Bertinotti), dicemmo apertamente che la compromissione di governo con la borghesia italiana, contro i lavoratori, avrebbe avviato la liquidazione del PRC. Perché ne minava alla radice le ragioni di classe, e al tempo stesso confermava nella forma più clamorosa l'assenza, nei suoi gruppi dirigenti, di ogni programma comunista.
Fummo facili profeti. Quanto è avvenuto nei dieci anni trascorsi ha confermato la previsione. Il ministro che entrò in quel governo, votando missioni di guerra, leggi di precarizzazione del lavoro, abbassamento delle tasse sui profitti (l'Ires dal 34% al 27%!), è oggi il segretario che scioglie il partito. Dopo averlo imboscato negli ultimi anni in tutte le possibili combinazioni di liste e soggetti “civici” (da Ingroia a Spinelli), privi di ogni riferimento di classe.
Negli ultimi mesi, in particolare, la linea della Segreteria del PRC sulla Grecia è stata davvero emblematica. Prima la giustificazione della capitolazione di Tsipras alla troika; poi il pubblico sostegno a Tsipras alle elezioni anticipate di settembre, quando chiedeva il mandato sul programma di austerità concordato; poi il plauso alla “vittoria” di Tsipras in compagnia delle Borse e dei governi capitalistici europei; infine la continuità dell'appoggio a Tsipras nel momento stesso in cui vara le politiche di lacrime e sangue contro i lavoratori subendo il primo sciopero generale di massa (12 novembre), hanno scandito di fatto, nel loro insieme, una confessione pubblica: il gruppo dirigente del PRC non ha altro orizzonte strategico reale che il governo “progressista” del capitalismo, in Italia e nel mondo. Per di più in un contesto storico in cui il riformismo ha esaurito il proprio spazio storico e dunque maschera la continuità delle controriforme (come proprio la Grecia insegna). Perché allora meravigliarsi dello scioglimento del partito in una costituente di sinistra dichiaratamente governista? Ogni confine reale, politico e programmatico, tra PRC e SEL si dissolve nell'adattamento comune al capitale.


UN PROGETTO CLASSISTA E ANTICAPITALISTA, COMUNISTA E RIVOLUZIONARIO

Detto questo, non consideriamo lo scioglimento del PRC un fatto “che non ci riguarda”. Non solo perché i promotori del PCL militarono in Rifondazione Comunista per quindici anni, dando battaglia coerente su un programma anticapitalista in contrasto con i suoi gruppi dirigenti maggioritari (Bertinotti, Cossutta, Diliberto, Rizzo, Ferrero, Vendola). Ma anche e soprattutto perché sappiamo che nel vostro partito, al di là dei suoi gruppi dirigenti, hanno continuato a militare tanti compagni e compagne sinceramente comunisti, che hanno cercato nel PRC uno strumento non di resa ma di lotta, non di governo ma di rivoluzione. Compagni e compagne che abbiamo trovato e troviamo in tante battaglie comuni, nel movimento operaio, nei movimenti giovanili, nelle lotte ambientaliste, sul territorio, sempre contro il comune avversario di classe. E quindi anche contro le coalizioni di centrosinistra sposate da SEL (e anche in tanti casi dal PRC) o i governi di unità nazionale in cui stava Fassina.

Perché questo sbandamento e questa ulteriore dissoluzione si inserisce in un contesto di profonda involuzione della coscienza di classe. Le sconfitte dello scorso ventennio, i processi di scomposizione e ricomposizione determinati dalla crisi e dalle ristrutturazioni in corso, la compartecipazione alle tante giunte e governi di centrosinistra da parte delle principali organizzazioni del movimento operaio, hanno logorato in larghi settori di massa la capacità di riconoscere le differenze di classe, la consapevolezza dei propri interessi, la propria identità e forza collettiva. Hanno creato confusione, consumato immaginari e scomposto relazioni sociali.
Questa scelta di sfumare il proprio colore e il proprio anticapitalismo, seppur simbolico e retorico più che reale, all’interno di un indistinta sinistra italiana, pensiamo quindi che rilanci e rinforzi questo processo generale di involuzione della coscienza di classe.

A questi compagni e a queste compagne chiediamo allora di non ripiegare le bandiere. Di non piegarsi ad una scelta di liquidazione tra le braccia di Vendola e Fassina. Ma anche di non arrendersi allo sconforto e alla tentazione di abbandono come è avvenuto per decine di migliaia di compagni e compagne in tanti anni.

Noi non siamo più un “gruppo”, ma un piccolo partito, l'unico oggi esistente in una dimensione realmente nazionale a sinistra del PRC. Un partito impegnato nella lotta di classe e nei movimenti di massa, che lavora per la più larga unità d'azione dei lavoratori e delle loro organizzazioni, e che vuole introdurre in ogni lotta la prospettiva di un governo dei lavoratori: l'unica vera alternativa, quella rivoluzionaria.
Un partito che si presenta come tale alle elezioni, in contrapposizione ad ogni forma e logica di centrosinistra, e contro ogni camuffamento “civico”, per presentare il programma comunista alle più larghe masse, fuori da ogni logica minoritaria o rinunciataria.
Un partito schierato internazionalmente al fianco dei lavoratori, dei popoli oppressi dall'imperialismo, delle loro lotte di emancipazione e liberazione, a partire da una logica classista, estranea al campismo e allo stalinismo.
Un partito impegnato per la ricostruzione dell'Internazionale comunista e rivoluzionaria, al fianco delle nostre organizzazioni sorelle di Grecia, di Turchia, di Argentina, e di altri Stati e nazioni: per unire in ogni paese e sul piano mondiale tutti i sinceri comunisti che vogliono battersi per il potere dei lavoratori. Contro ogni illusione di “riforma sociale e democratica” dell'Unione Europea o della NATO.

Certo, la costruzione di un partito rivoluzionario è terribilmente complessa. Tanto più in un paese come il nostro segnato da un profondo arretramento del movimento operaio e della sua coscienza. È una costruzione controcorrente, in un campo di rovine prodotte da chi ha disperso grandi potenzialità e grandi occasioni. Ma rinunciare alla costruzione di questo partito, per accontentarsi della sola esperienza dei movimenti, renderebbe un pessimo servizio ai movimenti stessi, che tanto più in un quadro di frammentazione hanno bisogno di incrociare una prospettiva unificante. Come non ci si può semplicemente organizzare in una rete o un coordinamento diffuso di soggetti ed esperienze diverse, che si ritrovano su un minimo comun denominatore di resistenza o opposizione. Serve un partito. Tanto più oggi, di fronte ad una crisi profonda ed epocale del modo di produzione capitalista, che scuote il consenso e l’egemonia delle classi dominanti, che divarica condizioni sociali e disuguaglianza, che precipita le contraddizioni intercapitaliste e lo scontro di classe. Serve una direzione alternativa. Un soggetto organizzato e radicato che porti in ogni lotta il senso di un progetto generale, che sviluppi la coscienza, che contrasti la demoralizzazione o le illusioni. Per l'appunto, un vero partito comunista.

Questo è il nostro progetto ed il nostro tentativo. Vi proponiamo quindi di confrontarci con noi, sul passato e soprattutto sul presente della lotta di classe e del ruolo indispensabile del partito, per mantenere ed allargare nel nostro paese uno spazio politico classista e anticapitalista, per provare a costruire insieme il partito comunista e rivoluzionario.


Partito Comunista dei Lavoratori


domenica 15 novembre 2015

CONTRO REAZIONARI E TERRORISTI. CONTRO L'IMPERIALISMO E IL FASCISMO ISLAMICO. PER UN NUOVO INTERNAZIONALISMO



La guerra vigliacca di questi giorni e di questi anni ha contagiato l'Europa. IS e fondamentalismo islamico sono il prodotto dei macelli dell'Occidente imperialista in Medioriente e in Africa. Gli interessi dei lavoratori non stanno da nessuna parte che non sia quella della loro unità e della loro organizzazione, oltre ogni frontiera e religione. L'unico argine contro il capitalismo e i mostri che genera.

La guerra è arrivata nelle strade, nelle piazze e nei teatri d’Europa. La guerra vigliacca di questi giorni e di questi anni. La guerra che colpisce civili e innocenti: a caso, senza fronti e senza confini. La guerra che da troppo tempo si combatte in Siria, in Iraq, in Afghanistan, in Libia ed in Egitto, in molti paesi africani ed asiatici. Una guerra che travolge città, famiglie e popolazioni.

Questa guerra l'ha iniziata l'Occidente capitalista e imperialista. IS e fondamentalismo islamico sono stati rilanciati, se non prodotti, dai ripetuti interventi militari in Medioriente: dai bombardamenti e delle missioni “di pace”. Americane. Francesi. E italiane. Interventi che negli anni hanno sostenuto dittatori e repressioni sanguinarie, hanno abbattuto resistenze popolari e forze progressiste, hanno distrutto paesi e tessuti sociali, hanno aperto la strada alla crescita dell’integralismo religioso. La competizione per la conquista dell'egemonia all'interno del campo integralista ha sospinto la corsa al rialzo verso le barbarie. Ha creato un nuovo “fascismo islamico”, un movimento reazionario armato che si è dotato di un suo progetto totalitario fondamentalista (il grande Califfato), con pratiche sanguinarie di terrore che pratica verso ogni opposizione e resistenza, interna ed esterna.

In questa guerra, le linee del fronte si frammentano e si confondono. IS e fondamentalisti sono stati supportati e protetti dalle monarchie del Golfo e servizi occidentali. Probabilmente lo sono ancora. Perché reazionari, fondamentalisti, dittatori e terroristi combattono da entrambe la parti. Al centro di questa guerra non c’è alcun principio, alcuna civiltà, alcuna religione. Ci sono solo interessi economici e politiche di potenza, che polarizzano identità ed appartenenze per utilizzarle come strumenti dei loro giochi d’interesse.

In questa guerra, invece, gli interessi e le identità della classe lavoratrice e di quelle popolari sono travolti. Da tutti. Schiacciati dalla militarizzazione, dall’imbarbarimento crescente, dalle miserie della guerra, dalla distruzione delle strutture economiche e dall’esplosione dei fanatismi identitari. Annullati anche dalla confusione dei fronti: dalla costruzione di larghe alleanze, a base etnica o religiosa o nazionale. Fronti popolari o nazionali nei quali gli interessi e le identità dei lavoratori e delle lavoratrici sono sempre retrocesse, scolorite e poi annullate. In nome di altre priorità, immaginari e progetti politici. Quelli delle proprie borghesie, dei propri apparati militari, o delle potenze imperialiste.

Per questo siamo a fianco dei morti e delle famiglie. A Parigi. Come a Beirut, a Sinjar, ad Aleppo o a Kobane. In Africa ed in Asia. Le centinaia di migliaia di morti di questa lunga guerra.
Per questo NON siamo nelle piazze di queste ore. Quelle piazze unitarie e tricolori, in solidarietà dei “fratelli francesi”. Il silenzio, la commozione e l’unità di queste ore, come quella dopo l’attentato di Charlie Ebdo, permette solo alla canea reazionaria di crescere ed imporsi anche nei nostri territori. Proponendo ancora identità e polarizzazioni, cristiane ed europee, umane o civili. Appartenenze utili solo a continuare questa guerra, a rilanciare gli interessi imperialisti di questa o quella potenza.

Per fermare la guerra, invece, dobbiamo colpirne gli interessi che la muovono. Dobbiamo opporci agli interventi imperialisti. Di pace e di guerra. Anche quelli italiani. Dobbiamo denunciare gli interessi particolari, come quello della nostra ENI che non casualmente è presente in tutti questi fronti di guerra. Dobbiamo combattere le politiche di grande e di piccola potenza, sorrette dalla competizione capitalista e dalla necessità di rafforzare i propri apparati produttivi capitalisti.

La sola risposta alle guerre e al terrorismo è l’unità dei lavoratori e dei popoli. Al di là delle rispettive origini, del colore della pelle, della religione, delle frontiere. Ritrovare i propri interessi e le proprie identità di classe, per battersi insieme contro chi li sfrutta e li sottomette. Per farla finita con questo sistema capitalista, che crea la barbarie. Per una rivoluzione socialista, che superi confini e conflitti nazionali.


Partito Comunista dei Lavoratori

mercoledì 11 novembre 2015

CONTRO BUONA SCUOLA E GOVERNO RENZI IL 13 NOVEMBRE IN SCIOPERO

PER RIPRENDERE LA LOTTA



A MAGGIO ABBIAMO COSTRUITO UN MOVIMENTO, spinto dal protagonismo di lavoratori e lavoratrici: volantini faidate, flash-mobs, grande adesione agli scioperi ed ai boicottaggi Invalsi. Un grande movimento, su obiettivi chiari: stabilizzazione dei precari; no alla chiamata diretta; contro la valutazione. Una critica di massa all'autonomia scolastica.
MA IL DDL È STATO APPROVATO. Renzi ha vacillato, ma poi ha forzato e vinto. Anche per due nostri limiti. Siamo partiti tardi. Si è così impedito il coinvolgimento degli studenti e si è imposto una scadenza ravvicinata alla lotta (il governo ha imposto il suo testo a scuole chiuse). Ci siamo trovati isolati. Pur in presenza di tanti conflitti, è stato l'unico movimento di massa contro il governo. Renzi ha quindi potuto tenere e imporsi.
ORA BISOGNA RIPRENDERE LA LOTTA. Possiamo boicottare la legge, nelle scuole e nelle piazze. Anche il concorsone, la Moratti o il portfolio furono approvati, ma non fecero strada. Non limitiamoci a risparmiare alla scuola gli effetti più deleteri della legge 107 (come dicono CGILCISLUIL). Non limitiamoci ad una resistenza scuola per scuola che, da sola, inevitabilmente produrrà differenze (tra istituti e tra docenti). La CGIL però non si muove! Aspetta CISLeUIL e illusori spazi di ricomposizione con il PD. Ha lasciato le scuole nella confusione e nell’ambiguità: senza indicazioni di lotta, senza prospettiva, senza proporre né un ora di sciopero, né un corteo nazionale che dia un segnale di ripresa.
13 NOVEMBRE: SCIOPERO!! Diversi sindacati di base (Cobas, Unicobas, Cub, Usi,..) hanno trovato una convergenza, anche se non tutti (USB ha mantenuto la sua iniziativa di organizzazione). E’ un segnale importante per riprendere la lotta, sostenuto e appoggiato da tanti soggetti del movimento della scuola (dalla LIP all’OpposizioneCGIL, passando per autoconvocati e autorganizzati). Il PCL sostiene con determinazione questa iniziativa e questa lotta, contro il governo, contro la legge 107 e contro il vergognoso immobilismo della CGIL!!!
RENZI NON COLPISCE SOLO LA SCUOLA: impone il Job Act (licenziamenti, demansionamenti e controllo); limita il diritto di sciopero; vuole disfare i contratti nazionali; taglia la sanità a tutti e le tasse ad i ricchi (TASI e IRPEG); riforma la Costituzione in senso autoritario, con una risicata maggioranza parlamentare.

COME ABBIAMO VISTO IN PRIMAVERA, PER VINCERE BISOGNA ISOLARE IL GOVERNO,
RIUNIRE I DIVERSI FRONTI DI RESISTENZA.
SOSTENIAMO LO SCIOPERO DEL 13 NOVEMBRE
PER UN GRANDE MOVIMENTO GENERALE,
PER MANDARE A CASA RENZI e
QUESTO GOVERNO AUTORITARIO E PADRONALE.

Partito Comunista dei Lavoratori

sabato 7 novembre 2015

Sinistra italiana: il nuovo che ritorna



Si è inaugurato, con un'assemblea pubblica a Roma, il nuovo gruppo parlamentare Sinistra Italiana. In un tripudio di folla (a veder le foto nemmeno così tanta), canti di Bella Ciao coi pugni alzati, venditori di programmi politici vecchi e usati provano una nuova avventura.
Utile pubblicare, quindi, questo articolo uscito sul numero di ottobre di Unità di Classe.
Per evitare l'ennesima illusione a danno dei lavoratori.

Ciclicamente ritornano, dopo ogni sconfitta parziale o totale disfatta.Eccoli con le stesse parole d’ordine di “sinistra” che periodicamente escono dalla loro bocca quando hanno esaurito quelle padronali.
Sono gli zombi, i replicanti e i vampiri della sinistra, che, invece di godere in silenzio dei propri vitalizi accudendo figli e nipotini, ritornano – o ci provano. Vogliono ancora – vecchi, meno vecchi e quasi giovani – sentire il profumo dei palchi davanti a grandi masse osannanti, quasi che gli ultimi vent’anni siano passati lasciandoci immemori delle responsabilità del disastro politico e sociale che il proletariato italiano si trova a vivere.
Sono i Vendola, i Cofferati, gli uomini della ditta Bersani-D’Alema-Cuperlo, i post bertinottiani, i vecchi giovani comunisti, l’avanguardista carrierista Gennaro Migliore, i post Pd Fassina e Civati.
Ma chi sono, cosa vogliono? E soprattutto sono di sinistra o ci fanno?

Impossibile non iniziare dai vertici di Sel. Impermeabile ad ogni bilancio di quasi un trentennio, ecco ancora in prima fila Niki Vendola. Tra i fondatori del Prc nel 1991 e parlamentare dal 1992, si era espresso nel 1994 a favore del governo Dini (il noto bacio del rospo) per poi rimanere nel Prc una volta garantitagli da Bertinotti n persona la riconferma in parlamento. Della sua decennale esperienza di presidente della Puglia meritano di essere ricordati due episodi: l'accordo con il prete affarista don Verzé per aprire a Taranto il “San Raffaele del Sud”, nelle intenzioni l'ennesimo ospedale privato finanziato dal pubblico. Verzé morirà poi per una attacco di cuore dopo esser stato travolto da un nuovo scandalo finanziario.
Indimenticabile la più recente telefonata, intercettata e resa pubblica nonché ascoltabile in rete, tra Vendola e il responsabile delle relazioni istituzionali dell'Ilva mentre sfottono un giornalista a cui il dirigente Ilva aveva rubato il microfono per impedire che ponesse domande sui malati di tumore tarantini al boss Riva. Tra uno sghignazzo e l'altro Vendola ribadisce di essere a disposizione di Riva.
Il 6 settembre scorso, in un'intervista a Repubblica, Vendola ha dato la “nuova” linea di Sel: “Alle amministrative alleanze con il Pd ovunque possibile”, traduzione “col Pd ovunque ci pigliano”.
L'attuale coordinatore di Sel Nicola Fratoianni è stato nei primi anni 2000 segretario dei giovani del Prc, poi segretario dello stesso partito in Puglia per diventare..... ovviamente..... assessore regionale nel secondo mandato di Vendola.
Tutti loro furono pasdaran bertinottiani; Fratoianni e Migliore.... venivano addirittura presentati come la “seconda generazione” del Prc, forse geneticamente modificata per essere governista e virare regolarmente verso destra. Con Migliore (ora nel Pd) hanno addirittura esagerato: una creatura che, prima delle elezioni del 2006 che lo elessero in parlamento e portarono il Prc al governo, riuscì pure a diventare filosionista impedendo al Cpn di Rifondazione di aderire a un corteo pro-palestina.
Ma gli ex Bertinottiangovernisti ex Prc non si annidano solo in Sel. E' il caso di Alfonso Gianni, che da tempo scrive quasi settimanalmente lunghi articoli “teorici” su Il Manifesto per spiegare come rifare la sinistra. Ma Alfonso Gianni proprio nuovo non è. Alla fine degli anni '70 è stato vicesegretario nazionale dello stalinista Movimento dei Lavoratori per il Socialismo, per quest'ultimo eletto nel Pdup alla Camera nel 1979 e riconfermato col Pci nel 1983. Stretto collaboratore di Bertinotti negli anni '90 viene rieletto alla camera nel 2001, riconfermato nel 2006 entra nel secondo governo Prodi come sottosegretario all'economia. Attualmente oltre a “darci la linea” sul Manifesto è direttore della Fondazione Cercare Ancora il cui presidente è...... Fausto Bertinotti.

Ci sono poi i Pd post Pc-Pds-Ds della cosiddetta Ditta che per anni sono stati gli alleati e compagni di merende di Prc-Pdci-Sel e dei personaggi sopra narrati. Si tratta dei Bersani, Cuperlo, Errani, D'Alema, ecc. Che costoro rappresentino un'alternativa di sinistra a Renzi pare una tragica commedia degli equivoci dove cause ed effetti si invertono, padri figli e mamme si confondono in sbiadite foto di famiglia. Gli stessi comportamenti parlamentari, in particolare su legge elettorale e riforme istituzionali, dimostrano la pochezza di questa “sinistra”, parola che a D'Alema procura forti eritemi curabili solo con la visione dei video dei bombardamenti su Belgrado lanciati dal suo governo nel 1999.

E che dire di coloro che sono usciti dal PD da sinistra?
Il primo della fila è senza dubbio Sergio Cofferati (che se avesse vinto le primarie in Liguria sarebbe rimasto nel Pd), l'ex segretario generale della CGIL, l'uomo che il 23 marzo del 2002 ”portò 3 milioni di persone al circo massimo per difendere l'art.18”. La strumentalità della posizione di Cofferati si rivelò l'anno dopo quando si schierò per l'astensione al referendum – promosso da Prc e Fiom tra gli altri – per l'estensione dell'art. 18 a tutti i lavoratori. Assunse in quell'occasione la stessa posizione di Berlusconi, di tutta la destra e di gran parte del centrosinistra, purtroppo vincendo.
Cofferati è stato anche – dal 2004 al 2009 - il sindaco più di destra che Bologna abbia avuto. Liberista, autoritario, nemico della sinistra, si ricorda come il sindaco sceriffo che, ben prima della Lega Nord, inviò le ruspe contro i campi profughi e i rom. Durante un'affollata assemblea di quel periodo affermammo: “Sapevamo che era lombardo, speravamo non fosse leghista”. Al termine di un mandato disastroso, in cui si era inimicato mezza città, di cui parte votante PD, annunciò la sua rinuncia ad una ricandidatura, per stare accanto alla moglie e al figlio piccolo residenti a Genova. Un uomo di cuore Cofferati: due mesi dopo divenne eurodeputato, forse Bruxelles-Genova dai mezzi pubblici è servita meglio che Bologna-Genova. Fossi stata la moglie mi sarei incazzata!
Nella lista dei fuoriusciti Pd troviamo Stefano Fassina, già dirigente nazionale della Sinistra Giovanile negli anni '90, arriva al culmine della carriera istituzionale come viceministro dell'economia nel governo Letta, una compagine non proprio rivoluzionaria. Poi si scazza con Renzi e si sposta su posizioni “intransigenti”, ora va pure a Parigi alla festa del PCF a fare dibattiti con altri sinistri (Varoufakis, Lafontaine, ecc.).
Intervistato nel 2012 da Sabina Guzzanti nella trasmissione televisiva Un due tre stella Fassina si dichiara apertamente favorevole alla Tav.

Ed ecco Superpippo Civati, dopo un breve fidanzamento con Renzi alcuni anni fa, lui almeno ha cominciato a rompere i coglioni a tutto il Pd appena entrato in parlamento. Si è presentato alle primarie sostenuto da una parte di prodiani e da una porzione di sinistra Pd, ma soprattutto l'operazione gli è servita per costruirsi un suo giro nazionale. Ha strutturato la sua area nell'associazione Possibile, ma la mossa di raccogliere firme per un pacchetto di referemdum decisa da lui soltanto non gli ha certo portato simpatie né negli apparati sinistrorsi né nei movimenti, tanto più ora che appare davanti ad un probabile fallimento.

Poi c'è il Prc. Le penultime notizie ci dicono che mezzo partito si è rifiutato di dare il sostegno a Tsipras in Grecia optando per le liste a sinistra di Syriza. Ad urne chiuse, dopo la nuova vittoria di Syriza, Ferrero ha dichiarato: “Tsipras ha sconfitto la Merkel”. A parte che si votava in Grecia e non in Germania, visto il memorandum firmato in luglio alla Merkel va bene anche Tsipras. Ma il comunicato di Ferrero è forse frutto di una ricerca disperata di vittorie, anche altrui, per “nuovi meravigliosi governi progressisti”. O forse si fa confusione fra realtà e fantasia.

In conclusione, se vi si avvicina un vecchio ma nuovo “sinistro” o “centrosinistro”, fate come Dylan Dog: mirate alla testa e fatelo secco prima che vi morda infettandovi (anche colpi di badile e paletti di frassino possono essere utili a seconda dei casi).

Michele Terra

martedì 3 novembre 2015

INIZIATIVE DEL PCL BRESCIA

10 ottobre presidio per la giornata di sfratti zero siamo tutti sotto la prefettura di Brescia




2 famiglie a Montichiari 13 ottobre rinvio dello sfratto




13 ottobre piazza della loggia,manifestazione di solidarietà con il popolo Curdo e contro la odiosa politica stragista di Ankara e del governo di Erdogan


17 ottobre giornata contro la sanità volantinaggio ospedale di Montichiari Ospedale civile di Brescia; giù la mai della sanità



SABATO 31 OTTOBRE CORTEO PER I PERMESSI





Oggi in Italia una legge ingiusta, lega il permesso di soggiorno al contratto di lavoro, costringendo centinaia di migliaia do lavoratori immigrati ad accettare lavoro a qualsiasi condizione per non essere costretti all’illegalità’. Accade che i lavoratori immigrati con figli nati e cresciuti in Italia, se licenziati, sono costretti ad andarsene o a diventare fuorilegge. La ricerca di profitti sempre più alti, grazie a salari da fame e peggiori condiziono di lavoro, mette in concorrenza i lavoratori italiani e stranieri, costringendo anche gli italiani ad un lavoro sempre più sfruttato e umiliante. Solo i diritti per tutti e la solidarietà tra lavoratori, tra essere umani, possono migliorare le condizioni di vita di tutti. Oggi il PCL scende in piazza per chiedere, permesso di soggiorno slegato dal contratto di lavoro piena cittadinanza dopo 5 anni di residenza
cittadinanza italiana per tutti i nati sul suolo italiano.

Partito Comunista dei Lavoratori
Brescia sez. "Clara Zetkin"


sabato 31 ottobre 2015

I COMUNISTI RIVOLUZIONARI E LA SIRIA



La Siria è oggi più che mai un crocevia di fronti di guerra intrecciati e sovrapposti tra loro.
Sul versante propriamente siriano:
La guerra di Assad e del suo regime militare e poliziesco
La guerra barbarica del fascismo islamico dell'ISIS - inizialmente favorita da Assad in funzione controrivoluzionaria - mirata alla costruzione di un regime totalitario integralista anti sciita, e pertanto diretta, coi metodi del terrore, contro ogni forma di resistenza alla propria avanzata.
La guerra delle altre forze fondamentaliste reazionarie ( la sezione siriana di Al Qaeda Al Nusra, e la coalizione dell'”Esercito della Sunnah””), contrapposte sia ad Assad che all'ISIS.
La guerra delle forze popolari kurde a difesa del Rojava, contro ISIS.
La guerra di ciò che resta dell'Esercito Libero Siriano, nato da rotture e diserzioni dall'esercito di Assad nel momento della sollevazione popolare, e poi pesantemente colpito e smembrato dalla tenaglia militare del regime e delle forze reazionarie fondamentaliste complessivamente intese.
La guerra di resistenza di alcune strutture popolari nelle realtà urbane e di villaggio, sopravvissute ai colpi del regime e dei tagliagola reazionari, e di fatto contrapposte a entrambi.

Su questo inestricabile ginepraio si innesta a sua volta il ruolo determinante delle potenze esterne mediorientali:
L'asse sciita a sostegno militare di Assad, composto dall'Iran, dagli Hezbollah, dall'Irak, col regime iraniano che cerca di capitalizzare lo sdoganamento ottenuto dagli USA per puntare ad una propria egemonia regionale.
L'asse sunnita delle potenze del Golfo a partire dall'Arabia Saudita, strategicamente contrapposta all'Iran e dunque ad Assad: la monarchia Saud, “tradita” dagli USA per via della pacificazione con Iran, sostiene ogni possibile via e strumento per contrastare il campo sciita, incluso il sostegno determinante al fondamentalismo reazionario e un gioco di sponda col sionismo.

La Turchia di Erdogan, apertamente contrapposta all'Iran perchè interessata a promuovere un proprio disegno di potenza neo ottomano nella regione attraverso l' espansione in Siria e la guerra ai kurdi.

Infine all'intero panorama delle forze regionali si sovrappone il gioco interessato delle potenze mondiali:
La vasta coalizione imperialista a guida USA, fondata sulla Nato, ancora impossibilitata per ragioni politiche a mandare significative truppe di terra ma impegnata nella guerra dei cieli, principalmente contro ISIS.
La Russia di Putin, che entra nella impasse della politica USA con proprie forze militari per salvaguardare le proprie basi sul Mediterraneo, e dunque a sostegno di Assad e del blocco sciita. Lo Stato sionista, spiazzato dalla legittimazione dell'Iran da parte degli Usa, che cerca dietro le quinte nuove sponde internazionali in tutte le direzioni, inclusa la Russia di Putin: uno Stato sionista che aveva da tempo normalizzato le relazioni di buon vicinato col regime di Assad e che vede nel rafforzamento dell'asse sciita ( Iran ed Hezbollah) la minaccia principale ai propri interessi.

Ognuno di questi attori si muove con duttilità e spregiudicatezza al solo fine di difendere e rafforzare il proprio peso politico in funzione dei futuri nuovi equilibri del Medio Oriente. Senza che nessuno di essi disponga oggi di una forza sufficientemente egemone per imporsi sulle forze avversarie o concorrenti.


PARTIRE DAI PRINCIPI. PER UNA SOLUZIONE SOCIALISTA IN MEDIO ORIENTE.

Quale posizione assumono i comunisti rivoluzionari in una situazione così complessa e intricata?

Da comunisti partiamo, come sempre, dai principi e dal programma generale di rivoluzione, al fianco della classe lavoratrice del medio oriente e delle ragioni storiche dei popoli oppressi. Non v'è soluzione storicamente progressiva della questione palestinese fuori dalla dissoluzione rivoluzionaria dello Stato sionista, nei suoi fondamenti giuridici, confessionali, militari: condizione decisiva per l'autodeterminazione del popolo palestinese, a partire dal diritto al ritorno.

Non vi è soluzione storicamente progressiva della questione kurda fuori dalla messa in discussione degli equilibri politici e confini statali disegnati un secolo fa dalle potenze coloniali: condizione decisiva dell'unificazione kurda attorno ad un Kurdistan indipendente. Solo una soluzione socialista, capace di realizzare una federazione socialista araba e medio orientale, può consentire il compimento di questi obiettivi storici democratici. Solo la classe lavoratrice del Medio Oriente, ponendosi alla testa delle ragioni dei popoli oppressi della regione, può realizzare questa prospettiva socialista. Certo questa prospettiva è difficile e apparentemente lontana, ma è l'unica possibile su un terreno storico progressivo. In alternativa, come i fatti dimostrano, non c'è la “salvaguardia” dell'attuale medio oriente. C'è la ridefinizione della sua carta geografica per mano dell'imperialismo, dell'Isis, del sionismo, del progetto neo ottomano turco.

NESSUN ALLEATO TRA LE POTENZE IN CONFLITTO

A partire da questo programma di rivoluzione e liberazione, antimperialista e socialista, abbiamo definito la nostra posizione rispetto agli accadimenti medio orientali.

Abbiamo sostenuto le sollevazioni popolari arabe nel 2010/2011 contro regimi dispotici, controllati dall'imperialismo (Ben Alì e Mubarak), o già da tempo riallineati all'imperialismo ( Gheddafi ed Assad): a differenza delle correnti staliniste schieratesi al fianco di quei regimi nel nome di un loro inesistente “progressismo”. Al tempo stesso, abbiamo da subito contrastato e denunciato il ruolo filo imperialista delle direzioni borghesi di quelle rivoluzioni popolari, e il tragico esito controrivoluzionario inscritto nella loro parabola: a differenza di quelle correnti politiche della sinistra che, infatuate dalla suggestione rivoluzionaria, hanno finito col sottovalutare il ruolo controrivoluzionario dell'imperialismo nel segnare l'esito degli avvenimenti ( la Lit in Libia). In ogni caso, proprio per questo, ci siamo sempre opposti ad ogni intervento militare o ingerenza politica dell'imperialismo sul corso delle rivoluzioni arabe. A partire da un programma di rivoluzione permanente che proprio l'esperienza di quelle rivoluzioni conferma una volta di più nel modo più clamoroso: solo una rivoluzione socialista guidata dalla classe lavoratrice può realizzare nei paesi arretrati i compiti democratici della rivoluzione (autonomia dall'imperialismo, autodeterminazione nazionale, riforma agraria radicale..). E viceversa: ogni direzione borghese dei processi rivoluzionari finisce col tradire le stesse aspirazioni democratiche delle rivoluzioni popolari spianando la strada alla peggiore controrivoluzione. La dittatura di Al Sisi in Egitto, lo straripamento dell'Isis in Siria ed Irak, ne sono la riprova.

Con questa stessa impostazione di metodo, ci posizioniamo oggi nella intricata crisi siriana.

A differenza delle impostazioni “campiste”, non abbiamo amici e alleati in nessun blocco di potenze in conflitto, a nessun livello. Ci opponiamo all'imperialismo e al suo intervento militare, denunciando l'ipocrisia dei suoi argomenti “democratici”. L'imperialismo e le sue guerre in Medio Oriente negli ultimi 20 anni sono i principali responsabili delle indicibili sofferenze imposte ai popoli della regione, e di fatto dello stesso sviluppo dell'Isis. Oltretutto l'obiettivo dell'intervento militare a guida Usa è riconquistare un proprio controllo politico sulla regione dopo la destabilizzazione seguita alla rivoluzioni del 2010 e al loro esito, a vantaggio dei propri clienti regionali. Per questo siamo contro l'intervento imperialista e a maggior ragione contro una sua possibile escalation, perfino nel caso affrettasse la sconfitta dell'Isis: perchè ogni vittoria dell'imperialismo, in qualunque forma, preparerebbe altre mostruosità reazionarie. Da questo punto di vista denunciamo l'ennesima capitolazione all'imperialismo “democratico” da parte di correnti pacifiste della sinistra riformista, in Italia e in Europa.

Al tempo stesso non parteggiamo per Assad, la Russia di Putin, il regime iraniano. Sono forze oppressive della classe operaia, della popolazione povera, e dei loro diritti democratici e sindacali più elementari entro i propri confini. E sono interessate unicamente a negoziare con gli imperialismi occidentali e con la Turchia la nuova spartizione del Medio Oriente. I mercanteggiamenti del regime di Putin col sionismo (interessato a sostenere Assad contro Iran ed Hezbollah) sono un pessimo avviso per il popolo palestinese. Così come, parallelamente, i mercanteggiamenti dell'imperialismo Usa col regime di Erdogan, in funzione di bilanciamento dell'intervento russo, sono un attacco al popolo kurdo e alla sua lotta. Putin vuole negoziare con Obama una soluzione politica in Siria che preservi i propri interessi geostrategici. Gli Usa sono oggi costretti dalle proprie difficoltà a negoziare con Putin: con l'obiettivo se possibile di spodestare Assad, ma anche di conservare la continuità di potere della sua struttura militare( per non ripetere l'errore fatale commesso in Irak con lo scioglimento dell 'esercito di Saddam). Assad e il suo bunker militar poliziesco sperano di ricavare dal possibile negoziato o il proprio salvataggio diretto o una “transizione” che garantisca in ogni caso immunità personali e leve di potere. I popoli oppressi della nazione araba e del Medio Oriente non hanno nulla da guadagnare da questo negoziato condotto sulla loro pelle. Non hanno amici tra i regimi attuali e le potenze esterne che li sostengono o li contrastano. Per questo denunciamo il ruolo subalterno del campismo, in ogni sua forma e variante.

Contrastiamo l'Isis, il suo progetto totalitario fondamentalista di grande Califfato, le pratiche sanguinarie di terrore che esso pratica verso ogni opposizione e resistenza. La sconfitta dell'Isis, e di tutte le forze fondamentaliste e reazionarie, è oggi un obiettivo centrale dei popoli oppressi della regione e del movimento operaio internazionale. Per questo denunciamo ogni posizione, oggi fortunatamente marginale, di abbellimento o sottovalutazione del fenomeno Isis nel nome della contrapposizione all'imperialismo. Al tempo stesso la sconfitta dell'Isis va perseguita dal versante dei popoli oppressi e non dal versante dell'imperialismo. Tanto più in un contesto in cui i fatti dimostrano il fallimento dell'imperialismo nel contrasto dell'Isis, sia in Irak che in Siria.


DALLA PARTE DEI POPOLI OPPRESSI, PER UN'ALTERNATIVA DI DIREZIONE.

Stiamo dalla parte di tutte le forze e i soggetti che nella regione e in Siria, sui più diversi fronti, esprimono ragioni storiche progressive.
Stiamo dalla parte del popolo palestinese, a partire dai palestinesi di Yarmuk, che resistono alla tenaglia terribile tra regime, Al Qaeda ed Isis, a difesa innanzitutto della propria vita.

Stiamo dalla parte dei kurdi e della loro lotta eroica, armi alla mano, contro le forze dell'Isis e le aggressioni di Erdogan: l'unica forza che non a caso ha saputo sconfiggere i taglia gola in campo aperto sul fronte militare (Kobane).
Siamo dalla parte di quelle forze della resistenza siriana (comitati popolari, brigate locali..), oggi molto limitate ma reali, che ancora si battono in diverse città e villaggi per gli obiettivi democratici originari della rivoluzione popolare.
Al tempo stesso siamo su questi fronti con un programma marxista di rivoluzione, senza nessun adattamento alle loro leadership attuali .
Stiamo dalla parte dei palestinesi per una loro Terza Intifada: contro le leadership di Abu Mazen, asservita al sionismo, e contro Hamas e il suo regime oppressivo a Gaza, per una direzione alternativa del movimento di liberazione della Palestina.
Siamo incondizionatamente dalla parte dei kurdi e della loro lotta: ma contro i progetti di pacificazione con Erdogan ancora coltivati da una parte del PKK (Ocalan) e significativamente contrastati dall'ala giovanile di quel partito. Per una direzione alternativa del movimento di liberazione kurdo attorno ad un progetto di Kurdistan unito e indipendente.
Siamo dalla parte delle forze residue della rivoluzione siriana, ma contro le aperture all'imperialismo e la politica di collaborazione con l'imperialismo della cosiddetta “Coalizione nazionale siriana”.
Siamo su ogni versante per lo sviluppo di un punto di vista classista indipendente in Medio Oriente, in funzione della prospettiva socialista. E dunque per la costruzione di partiti marxisti rivoluzionari basati su questo programma. È la lotta che il Partito Operaio rivoluzionario di Turchia ( Dip) oggi conduce nel proprio paese, e che ha tutto il nostro sostegno.


Partito Comunista dei Lavoratori