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sabato 30 dicembre 2017

DI MAIO, UNA POLTRONA PER TUTTI?



Luigi Di Maio, detto Gigi, si dà un gran da fare nelle vesti di futuro capo del governo. Prima ha cercato il riconoscimento di tutti i poteri forti esistenti al mondo, da Trump a Macron a Netanyahu, a sua volta benedicendoli tutti con commosse parole di elogio. Ora pensa a ingraziarsi i salotti buoni di casa nostra. Pressato dalle domande inquiete del grande capitale e della sua stampa su quali garanzie di governabilità è in grado di offrire il M5S, Gigi Di Maio ha rassicurazioni per ogni palato.

L'intervista rilasciata il 28 dicembre al Fatto Quotidiano è esemplare.

«Come farete a governare se non prenderete almeno il 40% dei voti?» Semplice, risponde Gigi: «La sera del voto lanceremo un appello a tutti i partiti, e proporremo un tavolo per un'intesa sui programmi, senza scambi di poltrone... Saranno trattative pubbliche, trasparenti.» Avete capito bene. Dopo aver denunciato per anni a parole tutti i partiti con l'indimenticabile Vaffa, Di Maio ci informa che proporrà “trattative” a... “tutti i partiti”. Tutti. L'intera casta politica borghese viene improvvisamente riabilitata purché voti Di Maio capo del governo. Fascisti, reazionari, liberalprogressisti, ogni maggioranza va bene allo scopo. Del resto, quando mai Gigi potrà accarezzare di nuovo la vetta di un simile traguardo? Ora o mai più, si deve essere detto. Di Battista salta il giro temendo il peggio per potersi riciclare con un secondo mandato, magari in elezioni anticipate. Ma Di Maio non può. Lui ha l'appuntamento con la storia, con un unico biglietto di sola andata. Per questo chiede oggi a tutti il lasciapassare.

«Per governare serve una squadra forte: lei come la comporrà?», chiede curioso il giornalista. La risposta di Di Maio è esemplare: «Io voglio dare stabilità al Paese. E per questo prima delle elezioni presenteremo una squadra di ministri di ampio respiro, aperta a tutte le sensibilità dei cittadini». Proprio così. Ora si capisce il “senza scambi di poltrone”. Significa che tutte le poltrone sono prenotate da Di Maio e da ministri targati (in un modo o nell'altro) 5 Stelle. Ma il cuore della risposta sta in quel “nell'ampio respiro” della composizione ministeriale. “Ministri aperti a tutte le sensibilità dei cittadini” significa non solo ministri buoni per tutti i gusti elettorali, ma perciò stesso ministri votabili da tutti i partiti parlamentari, perché in grado di piacere a “tutti i partiti”. Del resto se Di Maio vuol fare il capo del governo col voto di tutti i partiti, cos'altro può fare? Così il campione della propaganda anti-inciucio rivendica il massimo dell'inciucio: un governo di unità nazionale avvolto nel sipario del M5S. L'unità nazionale di governo raccolta in un solo partito. Purché il capo del partito (e del governo) sia Di Maio.

Ma «La base [del governo] però dovrebbe essere il programma», osserva il giornalista, «perché lei non parla mai dii lotta all'evasione fiscale? Per non turbare gli imprenditori?» La risposta di Gigi non lascia spazio al dubbio: «Bisogna smetterla con questi pregiudizi nei confronti delle imprese, in Italia c'è gente che paga il 70 per cento di tasse ed esporta merci ovunque». Chiaro. Ora si capisce il vero possibile cemento di un governo Di Maio di unità nazionale. L'unità nazionale sta nel sostegno lirico alle imprese eroiche “che esportano ovunque”, tartassate dal fisco (poveracce) e magari dalle pretese dei lavoratori. Dopo trent'anni di abbattimento delle tasse su dividendi e profitti, in un paese in cui salariati e pensionati pagano l'80 per cento delle tasse, Di Maio ha trovato la bandiera del proprio sospirato premierato: nuove regalie fiscali al padronato, a spese dei lavoratori. È il programma da sempre di tutti i borghesi. Perché mai tutti i loro partiti dovrebbero far mancare il voto in Parlamento al proprio stesso programma di governo?

Non sappiamo se le offerte di mercato di Di Maio convinceranno i capitalisti a sostenere il M5S. Sappiamo che è nel nome dei capitalisti che Di Maio ambisce a governare.
Eppure è lo stesso M5S che Liberi ed Eguali corteggia, e che Rifondazione Comunista non attacca (dopo averlo a lungo lusingato).
È una ragione in più per la sinistra rivoluzionaria. Quella che ha sempre chiamato le cose con il loro nome. Quella che dice sempre la verità ai lavoratori contro tutti i loro avversari.


Partito Comunista dei Lavoratori

mercoledì 27 dicembre 2017

IL LAVORO SPORCO DELL'ITALIA IN AFRICA

Le vere ragioni della spedizione in Niger


«Se l'Europa vuole che facciamo il lavoro sporco con i migranti, deve mettere mano al portafoglio. L'aiuto UE è più che benvenuto». Sono le parole testuali del Presidente del Niger Mahamadou Issoufou dello scorso marzo. Sono parole che spiegano la vera natura della politica europea sul fronte dell'immigrazione, in primo luogo di quella italiana. Non solo in Libia, ma nell'Africa profonda.

“Lavoro sporco con i migranti” non significa solamente accordo politico diretto con le milizie libiche e i governi rivali di al-Sarraj e Haftar per segregare uomini, donne, bambini in luoghi di tortura e stupri, dopo aver bloccato manu militari la loro fuga via mare; non significa solamente finanziare ed equipaggiare queste funzioni criminali di polizia, formalmente nel nome della lotta ai trafficanti di esseri umani, in realtà assicurando loro un nuovo lucroso mercato (dalla compravendita di schiavi al loro uso in veste di ostaggi per estorcere soldi alle loro famiglie). Lavoro sporco significa anche e sempre più bloccare i migranti alla partenza, negare loro alla radice il diritto di fuga dalla propria disperazione. Qui sta la nuova frontiera dell'Unione Europea in Niger e nei paesi del Sahel. Il governo del Niger incassa dalla Unione Europea i cosiddetti aiuti (naturalmente... “umanitari”), in cambio assicura alla UE il blocco dei migranti nel proprio territorio, attraverso un'ordinaria criminalizzazione dei migranti stessi. La proposta tedesca, francese, italiana di istituire campi di “accoglienza” in Niger vuol dare una parvenza legale a questa partita di scambio criminale. Il fatto che questa funzione di polizia sia finanziata dalle casse del Fondo Europeo di Sviluppo dà la misura dell'ipocrisia imperialista, oltre a spiegare la vera natura della UE.

Ma i governi imperialisti della UE non si limitano a foraggiare il lavoro sporco del governo nigerino. Inviano direttamente proprie spedizioni militari lungo le frontiere del Sahel. L'annunciato invio di un corpo militare di spedizione di 500 uomini in Niger da parte del governo Gentiloni è parte della politica africana della UE. La Francia presidia la propria area ex coloniale africana con oltre 4000 soldati e decine di basi (Mauritania, Ciad, Mali, Burkina Faso, Niger), mentre la Germania ha accresciuto sino a mille soldati la propria presenza nel Sahel, facendone il principale teatro di propria presenza estera del dopoguerra.


LA NUOVA CORSA ALL'AFRICA

La verità è che non siamo di fronte unicamente alla questione dei migranti. È in corso una vera e propria competizione mondiale tra potenze imperialiste vecchie e nuove per il controllo e la spartizione dell'Africa. Le truppe seguono la rotta degli affari. Attraverso la diretta presenza sul terreno servono a sostenere le ragioni negoziali dei propri imperialismi al tavolo della spartizione. Ai lavoratori europei si chiede di pagare di tasca propria i costi della gara tra i loro sfruttatori, sulla pelle dei popoli di un altro continente.

L'Africa è un continente ricchissimo di materie prime. Possiede terre libere coltivabili di oltre 200 milioni di ettari. Rappresenta un'immensa riserva disponibile di giovanissima manodopera. Non a caso la Cina ha fatto dell'Africa un proprio bacino di espansione, con tutto l'arsenale delle politiche imperialiste: acquisizione di terre e materie prime in cambio di indebitamento, esportazione di capitale finanziario, costruzione e controllo di infrastrutture strategiche in campo portuale e ferroviario: un enorme cantiere a cielo aperto sotto bandiera cinese.

Gli imperialismi europei e la loro “unione” cercano una risposta all'espansione africana della Cina, sia provando a integrarsi nella filiera di affari che la Cina ha attivato, sia puntando a un controbilanciamento in termini di salvaguardia di propri presidi e aree di influenza.
La Francia fa perno sulla Costa d'Avorio e sulla massa monetaria del franco CFA occidentale per irradiarsi in Nigeria e Ghana, oggi all'apice dello sviluppo africano, mentre tutela i propri interessi in Niger in fatto di petrolio, gas naturale, oro, diamanti, ma soprattutto uranio. Al tempo stesso Parigi ha difficoltà a preservare il vecchio monopolio sulla Francafrique, come dimostra la sua richiesta d'aiuto all'Unione Europea per una presenza militare in Mali. Lo sfondamento economico cinese in Niger (che è ormai ultraindebitato con la Cina) è un altro segno delle difficoltà francesi.


L'ITALIA CERCA IL PROPRIO POSTO AL SOLE

In questo contesto l'Italia cerca nuovamente il proprio posto al sole. Da un lato dando sponda, nel proprio interesse, alle esigenze della Francia; dall'altro contendendo proprio alla Francia spazi e mercati nel cuore dell'Africa. L'imperialismo italiano in Africa (e non solo) è tutt'altro che un imperialismo straccione. Nel 2016 l'Italia è divenuta terzo paese investitore al mondo nel continente africano. ENI è la principale azienda europea in Africa, con un ampio raggio di espansione dall'Egitto al Mozambico. ENEL ha conquistato il primato in fatto di energie rinnovabili. “L'Africa è la nostra profondità strategica”, dichiara alla rivista Limes il sottosegretario Giro, che non manca di vantare l'attuale ruolo italiano in Etiopia, Eritrea, Somalia, Libia: guarda caso i luoghi dei crimini coloniali dell'imperialismo tricolore, in epoca sia liberale che fascista. L'imperialismo torna sempre sui luoghi del delitto.

Qui il cerchio si chiude. La nuova corsa all'Africa delle potenze imperialiste vecchie e nuove è e sarà un nuovo fattore di saccheggio delle risorse e dei popoli del continente nero. Per questo le migrazioni bibliche continueranno, assieme alle barriere poliziesche che vorrebbero impedirle o bloccarle, col seguito annunciato di nuovi orrori e sofferenze. Il sostegno di Francia, Germania, Italia e Spagna alla nuova forza militare congiunta di Niger, Ciad, Mali, Mauritania, per “contrastare il flusso migratorio” è solo un nuovo paragrafo di questo lungo libro.

“Aiutiamoli a casa loro”, recita il mantra della propaganda dominante, sulle labbra di Renzi, Di Maio, Salvini. Ma il sottotesto vero è un altro: segreghiamoli in casa loro, con porte e finestre sbarrate da nostri gendarmi e da poliziotti locali, e contemporaneamente occupiamo noi quella casa, come già facemmo per secoli , spartendoci il bottino. Milioni di africani segregati nella propria terra lavoreranno al servizio dei nostri capitali in cambio di salari miserabili e con orari di lavoro massacranti. Come già avviene nelle miniere d'oro e di diamanti di Niger e Congo, nei campi sterminati del Kenya e dell'Angola, nelle fabbriche tessili di Etiopia ed Eritrea. Spesso con donne e bambini, privati del diritto alla vita e al futuro. Spesso sotto bandiera tricolore.

Altro che difesa della “sovranità nazionale dell'Italia” contro “il dominio tedesco”, come rivendicano i nazionalisti di tutte le risme, inclusi i nazionalisti “di sinistra” che giurano sulla Costituzione italiana.

Il lavoro sporco è la natura stessa dell'imperialismo, a partire dal nostro.
Solo una rivoluzione socialista potrà voltare pagina. In Italia, in Europa, in Africa, ovunque.

Partito Comunista dei Lavoratori

domenica 10 dicembre 2017

IL BOOMERANG IMPIETOSO DI MAURIZIO ACERBO COLPISCE JE SO' PAZZO

Tre buoni motivi per stare dalla parte di una sinistra rivoluzionaria




Su Il Manifesto di mercoledì 6 dicembre il segretario nazionale di Rifondazione Comunista Maurizio Acerbo ha spiegato le ragioni del coinvolgimento di Rifondazione nel percorso elettorale di Je so' pazzo (1). Purtroppo tutti gli argomenti avanzati rappresentano un boomerang crudele per chi l'ha avanzati, e un colpo alla credibilità dell'operazione.

LE “MILLE SCHIFEZZE”

Il primo argomento afferma: «D'Alema e Bersani rappresentano una minestra riscaldata, la riproposizione della vecchia classe dirigente che ha votato la legge Fornero e mille altre schifezze e ora pretende di rappresentare la sinistra». (Acerbo, Il Manifesto)

Bene. È un argomento inoppugnabile. Come può «rappresentare la sinistra» chi ha votato «mille schifezze» contro i lavoratori e gli sfruttati? Tuttavia Acerbo dimentica uno spiacevole dettaglio. Rifondazione Comunista ha governato per cinque anni complessivamente negli ultimi venti, tra il sostegno al primo governo Prodi (1996-'98) e la partecipazione organica al secondo (2006-2008). E per cinque anni ha votato «schifezze» non meno gravi, proprio a braccetto dei D'Alema e Bersani: l'introduzione del lavoro interinale (Pacchetto Treu), il record delle privatizzazioni in Europa, la riduzione delle aliquote fiscali a vantaggio dei ricchi, lo straordinario abbattimento della tassa sui profitti di imprese e banche (Ires dal 34% al 27,5%!), l'aumento delle spese militari e il finanziamento delle missioni, i campi di detenzione per i migranti (legge Turco-Napolitano). Tutte misure votate e difese da Maurizio Acerbo e Paolo Ferrero, da sempre ininterrottamente parte organica dei gruppi dirigenti e parlamentari di Rifondazione (il secondo addirittura ministro) contro le stesse opposizioni interne al partito. Su nessuna di quelle schifezze abbiamo mai letto peraltro concrete autocritiche. Possono «pretendere di rappresentare la sinistra» coloro che le hanno votate, oppure coloro che le contestarono sempre?

LA VOLPE E L'UVA

Il secondo argomento afferma: «Abbiamo lavorato nel percorso del Brancaccio per costruire un vasto schieramento[...]. Purtroppo MDP-SI-Possibile hanno preferito un accordo di vertice bloccando ogni ipotesi di costruzione democratica dal basso di una sinistra «nuova e radicale». Avremmo potuto contrattare qualche seggio ma mai come oggi in Italia c'è bisogno di un'alternativa credibile».

Anche in questo caso le cose non si mettono meglio per il nostro Acerbo.
Se Bersani e D'Alema erano una sinistra non credibile in quanto «vecchia classe dirigente che ha votato schifezze», perché allora partecipare al percorso del Brancaccio che nasceva proprio dall'idea di una lista unica a sinistra inclusiva di D'Alema e Bersani? Perché a giugno firmare assieme a D'Alema l'appello per la lista unica a sinistra, e a novembre siglare con D'Alema l'accordo elettorale in Sicilia?
La verità è che Rifondazione Comunista non pose mai una pregiudiziale verso MDP (suggerendo al più una non candidatura di D'Alema e Bersani, che è cosa molto diversa). La rottura si è prodotta di fronte a un accordo tra MDP, SI, Possibile sulla spartizione delle quote dei parlamentari eleggibili, che di fatto escludeva il PRC. Insomma: lo sdegno verso... «chi ha votato la legge Fornero e mille schifezze» nasce improvvisamente quando il partito di D'Alema e Bersani taglia fuori il PRC dall'accordo sui seggi. Presentare tutto ciò come rivendicazione di coerenza... nel nome del rifiuto della “contrattazione dei seggi”, ricorda troppo la fiaba della volpe e dell'uva. Sarebbe questa la sinistra credibile?

TSIPRAS COME ESEMPIO?

Il terzo argomento è il peggiore.
«In tutta Europa i nostri compagni- Unidos Podemos, Melenchon, Syriza e tanti altri - hanno dimostrato che nuove aggregazioni, che uniscono sinistra radicale e esperienze di movimento, possono dare voce a chi oggi non è rappresentato da forze che rendono i nostri paesi più ingiusti e poveri.»

Nessun argomento poteva essere più sfacciato. Il governo Syriza-Anel ha appena privatizzato l'acqua pubblica, dopo due anni di rigorosa applicazione di tutte le ricette della Troika (taglio di salari, pensioni, diritti, privatizzazione dei servizi pubblici, svendita ai creditori di porti, ferrovie, aeroporti...). Melenchon ha assunto la bandiera tricolore come proprio riferimento in aperta contrapposizione alla bandiera rossa perché per lui il confine non è più tra destra e sinistra, ma tra oligarchia e popolo. Podemos ha appena voltato le spalle ai diritti di autodeterminazione della Catalogna in funzione della prospettiva di un governo col PSOE. Tutte queste esperienze dimostrano allora l'esatto opposto di quanto Acerbo pretende. Dimostrano che quando “esperienze di movimento” si subordinano a sinistre riformiste, nel momento stesso della crisi storica del riformismo, finiscono per tradire le proprie ragioni e subordinarsi di fatto al capitale.

Maurizio Acerbo ha dunque fornito involontariamente a tanti compagni e compagne un'ottima occasione di riflessione. A noi ha fornito una ragione in più “per una sinistra rivoluzionaria”. 

Partito Comunista dei Lavoratori

sabato 9 dicembre 2017

CONTRO TRUMP, CONTRO IL SIONISMO, AL FIANCO DEI PALESTINESI



Col sostegno alla pretesa di fare di Gerusalemme la capitale ufficiale dello Stato sionista, l'amministrazione Trump ha levato ogni maschera formale all'imperialismo USA. Senza veli diplomartici ipocriti, la più grande potenza del mondo dichiara il proprio appoggio pubblico alla colonizzazione sionista della Palestina, sino alle pretese più estreme.

LA LOGICA DI DONALD TRUMP

C'è una logica. Di fronte alla crisi della tradizionale egemonia americana in Medio Oriente, al rafforzamento dell'asse sciita nella lunga guerra siriana, all'inserimento dell'imperialismo russo nella spartizione degli equilibri regionali, l'amministrazione di Donald Trump punta a rinsaldare attorno a sé le roccaforti storiche della presenza USA in terra araba: la monarchia assolutista dell'Arabia Saudita e lo Stato sionista di Israele. Come sui mari del Pacifico così in Medio Oriente, Trump dichiara al mondo che la ricreazione è finita, che la ritirata americana è terminata. Naturalmente non è semplice per Trump tradurre in pratica il nuovo corso nell'attuale quadro mondiale. Ma il segnale politico vuole essere inequivoco anche nei suoi aspetti simbolici ed evocativi. “Gerusalemme capitale d'Israele” risponde sicuramente allo scopo.

LA REALTÀ DELLO STATO SIONISTA

La mossa di Trump ha riportato una volta di più la questione palestinese alla propria realtà. La realtà dell'occupazione coloniale della Palestina da parte dello Stato sionista. Uno Stato nato dalla Nakba, dall'espulsione dei palestinesi dalla loro terra attraverso i metodi del terrore (e con l'appoggio di Stalin). Uno Stato fondato su basi confessionali, senza dettato costituzionale, senza confini definiti. Uno Stato basato sulla negazione del diritto al ritorno dei palestinesi nella propria terra e sulla continua espansione della colonizzazione della Palestina. Uno Stato che per sua natura può reggersi solo sull'esercizio dell'oppressione contro la popolazione araba, a partire dai territori occupati e negli stessi confini di Israele. Uno Stato che ha il bisogno vitale dell'appoggio politico e militare degli imperialismi (americano ed europei). Uno Stato permanentemente in guerra.
La pretesa arrogante dello Stato sionista e del sionismo in genere di presentarsi sotto le vesti della “nazione ebraica” è un insulto verso le tradizioni democratiche, socialiste, antisioniste, di tanta parte della storia e della cultura dell'ebraismo.

PER LA LIBERAZIONE DELLA PALESTINA

Di certo, l'idea stessa di una soluzione pacifica e concordata della questione palestinese (“due popoli, due Stati”) si rivela tanto più oggi una truffa. Una truffa alimentata dall'ipocrisia degli imperialismi europei, dai regimi arabi vecchi e nuovi (nessuno escluso, a partire dal regime egiziano e dalla monarchia giordana), dalla stessa cosiddetta Autorità Nazionale Palestinese, finanziata dallo Stato d'Israele come strumento di controllo sulle masse palestinesi. Purtroppo il fallimento annunciato di questa truffa è stato spesso capitalizzato da tendenze politiche reazionarie islamiche, sia da quelle affiliate alla Fratellanza Musulmana (Hamas), sia da quelle salafite e jihadiste, che mascherano con vessilli religiosi il proprio odio verso ogni libertà.

In contrasto con le sinistre politiche riformiste di ogni estrazione (socialdemocratica, stalinista, populista) che hanno sostenuto per decenni la truffa “due popoli, due Stati”, e tuttora “riconoscono” lo Stato d'Israele, ribadiamo l'attualità della posizione storica del marxismo rivoluzionario sulla questione palestinese.

I palestinesi hanno il pieno diritto alla propria autodeterminazione. Non può esservi autodeterminazione senza il diritto del ritorno nella propria terra. Non può esservi il diritto al ritorno dei palestinesi senza la dissoluzione delle basi giuridiche, confessionali, militari, dello Stato sionista d'Israele. Non può esservi questa dissoluzione se non per effetto del congiungersi della rivolta di massa palestinese, della sollevazione più generale della popolazione araba, della ribellione delle migliori forze antisioniste dei lavoratori israeliani. È la prospettiva di una Palestina libera, laica, socialista, rispettosa dei diritti nazionali della minoranza ebraica, dentro una federazione socialista araba e del Medio Oriente.
Solo una rivoluzione palestinese ed araba può liberare la via di questa prospettiva storica. A cento anni dalla dichiarazione di Balfour (1917) con cui l'imperialismo inglese apriva la via alla colonizzazione sionista della Palestina, in funzione della spartizione dell'impero ottomano, solo una prospettiva rivoluzionaria, antimperialista, socialista, potrà ridare la Palestina al suo popolo.

Certo è una prospettiva difficile e apparentemente lontana. Ma è l'unica vera soluzione della questione palestinese. L'alternativa, come i fatti dimostrano, è la continuità dell'oppressione e della sua barbarie.

A partire da questo programma generale, siamo oggi al fianco delle mobilitazioni di massa dei giovani palestinesi contro le truppe d'occupazione sioniste e contro l'arroganza dell'imperialismo. Per una nuova intifada, fino alla vittoria.

NO ALL'ARROGANZA DI TRUMP E DELL'IMPERIALISMO USA!

GERUSALEMME È CAPITALE DELLA PALESTINA, NON DI UNO STATO COLONIALE!

VIA LE TRUPPE D'OCCUPAZIONE SIONISTA DA TUTTA LA PALESTINA!

PER UNA PALESTINA LIBERA, LAICA, SOCIALISTA, IN UNA FEDERAZIONE SOCIALISTA ARABA E DEL MEDIO ORIENTE!

Partito Comunista dei Lavoratori

martedì 5 dicembre 2017

MARTEDÌ, 12 DICEMBRE 2017 ALLE ORE 18,00 - PIAZZA SANTO STEFANO MILANO

Manifestazione cittadina


Manifestazione cittadina martedì’ 12 dicembre ore 18,00 Piazza Santo Stefano con corteo che si concluderà in Piazza Fontana. Per non dimenticare la strage di Stato, per ricordare l’assassinio di Giuseppe Pinelli e il sacrificio di Saverio Saltarelli. Il Pcl invita iscritti e simpatizzanti a partecipare 
ORGANIZZA • Milano Antifascista, Antirazzista, Solidale e Meticcia. 
CONTATTI • pclmilano@gmail.com