POST IN EVIDENZA

domenica 31 maggio 2020

FACCIAMO PAGARE LA CRISI AI PADRONI E AI LORO GOVERNI!

Il 6 giugno riscendiamo in piazza in tutte le città




Pubblichiamo il testo dell'appello prodotto dal patto unitario d'azione, cui il nostro partito aderisce, per la giornata nazionale di piazza del 6 giugno. Il PCL porterà nelle piazze la prospettiva del fronte unico di massa e la proposta della più ampia unità d'azione dell'avanguardia. 




Noi lavoratori della logistica considerati carne da macello, con le nostre vite considerate un’inevitabile costo da pagare; noi addetti alla sanità, infermiere, infermieri e medici diventati “eroi” nel momento stesso in cui venivamo mandati al massacro; noi lavoratori immigrati delle campagne sfruttati e sottopagati; noi addetti alle pulizie; noi operai di fabbrica trattati al pari delle macchine con cui lavoriamo in catena di montaggio; noi lavoratori del turismo e dello spettacolo, senza lavoro e senza salario; noi insegnanti e supplenti precari; noi disoccupati, intermittenti, precari e a nero dai mille lavori e contratti, spremuti come limoni nei mille rivoli del decentramento della produzione capitalista e costretti a sopravvivere con paghe da fame; noi donne proletarie discriminate per il loro genere; noi rider che incontrate sulle nostre biciclette per portarvi a casa il cibo; noi studenti di scuole squalificate e senza futuro abbiamo deciso di prendere in mano le sorti delle nostre vite, con la consapevolezza che i nostri interessi immediati e futuri sono contrapposti e incompatibili agli interessi di chi ci sfrutta e di chi ci governa. 

Abbiamo compreso insieme che è necessario ripartire con la lotta proprio dai nostri bisogni materiali indicando però anche l’immaginario di un nuovo tipo di società possibile, necessaria e indispensabile per il loro completo soddisfacimento: una società libera dal capitalismo e dalle sue logiche di miseria e di sfruttamento 

Abbiamo deciso, dopo diversi momenti di confronto nazionale di convergere e di dar vita a un patto d’azione, un fronte unico anticapitalista che ricomponga, nel conflitto e nella prospettiva politica di una trasformazione radicale della società, le diverse lotte presenti sul piano nazionale e locale. 

Abbiamo deciso di scendere in piazza SABATO 6 GIUGNO per una giornata di mobilitazione nazionale articolata in tutti territori dove ad ora siamo presenti, con una piattaforma di rivendicazioni unificanti. 

Al degrado e alla miseria attuale i proletari devono contrapporre un’alternativa di classe tesa al superamento della schiavitù salariata, e perciò incompatibile con gli interessi di sopravvivenza del capitale. 

Facciamo appello a tutte le realtà sociali, sindacali e politiche che condividono questa necessità, e ai singoli proletari stanchi di sfogare la propria rabbia solo sui social virtuali, a partecipare in massa alla giornata del 6 giugno e ai prossimi appuntamenti del Patto d'azione. 

1 - Salario medio garantito per disoccupati, sottoccupati, precari e cassintegrati; 

2 - Riduzione drastica e generalizzata dell'orario 
di lavoro a parità di salario: lavorare meno, lavorare tutti; 

3 - I costi della pandemia siano pagati dai padroni, a partire da una patrimoniale del 10% sul 10% più ricco della popolazione; 

4 - Libertà di sciopero e agibilità sindacale: contro i divieti delle questure, dei prefetti e della Commissione di garanzia sugli scioperi: se si lavora si ha anche il diritto di svolgere attività sindacale e di scioperare; 

5 - Abrogazione dei Decreti-sicurezza: no alla militarizzazione ulteriore dei territori e dei luoghi di lavoro; 

6 - Drastico taglio alle spese militari (un F35 equivale a 7113 respiratori) e alle grandi opere inutili e dannose (quali TAV, TAP, MUOS); 

7 - Piano di assunzione di nuovo personale sanitario: scorrimento degli idonei e delle idonee nelle graduatorie pubbliche e stabilizzazione dei precari e delle precarie, per garantire anche l'abbattimento dei turni di lavoro e le ferie bloccate; 

8 - Requisizione immediata di tutte le cliniche private, anche oltre l'emergenza, per ricostruire tutti i servizi sanitari territoriali distrutti; contro la mercificazione della salute, per un servizio sanitario unico, universale, efficiente e gratuito; 

9 - Regolarizzazione e sanatoria per tutti gli immigrati, a partire dalle migliaia di “irregolari” del settore bracciantile; contro la regolarizzazione-beffa “Conte- Bellanova”: permessi di soggiorno, documenti anagrafici e riconoscimento pieno per tutti gli immigrati; garanzia di salario diretto e indiretto, diritto all'abitare e assistenza sanitaria; chiusura dei CPR e riapertura dei porti; 

10 - Blocco immediato degli affitti, dei mutui sulla prima casa e di tutte le utenze (luce, acqua, gas, internet) per i disoccupati e i cassintegrati; blocco a tempo indeterminato degli sgomberi per tutte le occupazioni a scopo abitativo; 

11 - Revoca di qualsiasi progetto di Autonomia differenziata che penalizza i proletari e i lavoratori del Sud; 

12 - Amnistia e misure alternative per garantire la salute di tutti i detenuti e di tutte le detenute


Patto d'azione per un fronte anticapitalista

sabato 30 maggio 2020

DOMENICA, 31 MAGGIO 2020 ALLE ORE DALLE 16,00 ALLE 18,30 - MILANO E PROVINCIA

Assemblea on line del coordinamento delle sinistre di opposizione di Milano

Difendiamo i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici nell'emergenza!

Meeting del coordinamento unitario delle sinistre di opposizione di Milano

(Fronte Popolare, Partito Comunista dei Lavoratori, Partito Comunista Italiano, Partito Marxista-Leninista Italiano, Sinistra Anticapitalista)

per seguire la diretta vai alla pagina:

https://www.facebook.com/Coordinamento-delle-Sinistre-di-Opposizione-Milano-115597306649154/ 





mercoledì 27 maggio 2020

USA: ENNESIMO OMICIDIO RAZZIALE DELLA POLIZIA A MINNEAPOLIS

Lunedì a Minneapolis un afroamericano, George Floyd, è stato soffocato a morte dalla polizia



L'intera scena è stata ripresa dai passanti e diversi sono i testimoni. Si vede un poliziotto premere il ginocchio sul collo di Floyd, disarmato e già ammanettato, mentre questo ripete: "Per favore, non riesco a respirare, mi fa male lo stomaco. Mi fa male il collo. Ti prego. Non riesco a respirare". I passanti che assistono alla scena invitano il poliziotto a togliere il ginocchio dal collo dell'uomo, ma l'agente non si muove finchè Floyd non smette di parlare. La dinamica dell'omicidio è molto simile a quella che portò alla morte di Eric Garner nel 2014.
Black Lives Matter e altre organizzazioni contro la brutalità poliziesca hanno immediatamente organizzato proteste in diverse aree del paese richiamando le ultime frasi di Floyd: "I can't breathe", ad indicare il sentimento diffuso nella comunità afroamericana dopo questo ennesimo omicidio. Durante la manifestazione di protesta di ieri a Minneapolis, avvenuta sul luogo dell'omicidio, ci sono stati scontri tra manifestanti e polizia che ha lanciato gas lacrimogeni sulla folla.

Questo ennesimo atto di brutalità nei confronti della popolazione afroamericana avviene in un momento in cui le minoranze e i bianchi poveri sono i soggetti maggiormente colpiti dalla pandemia di Coronavirus che ha già provocato centomila morti.

lunedì 25 maggio 2020

IMMUNITÀ DI CAPITALE

L'ALTRA FACCIA DELLA PANDEMIA


La crisi colpisce alcuni settori capitalistici e ne favorisce altri. Nel primo come nel secondo caso, i padroni sanno solo chiedere soldi





La grande crisi mondiale innescata dalla pandemia ha fatto la fortuna di alcuni settori capitalistici. I dati globali trimestrali sono chiarissimi. I grandi gruppi del Web hanno aumentato i propri ricavi del 17,4% e gli utili netti del 14,9%. La grande distribuzione rispettivamente del 9,1% e del 34,8%. Il settore farmaceutico del 6,1% e del 20,5%. L'elettronica del 4,5% e del 10%. L'industria alimentare del 2% (non sono riportati gli utili). Ovviamente i relativi comparti italiani hanno seguito il flusso. Miliardi a palate. Eppure sono anch'essi beneficiari del taglio di 4 miliardi dell'IRAP, sottratti alla sanità pubblica. E anch'essi ovviamente chiedono l'azzeramento totale dell'IRAP (12 miliardi) più un nuovo ribasso dell'IRES, la tassa sui profitti, già portata in tredici anni dal 34,5% al 20%. La favola del soccorso alle imprese in crisi in questo caso non regge.

In compenso, nonostante i profitti d'oro e i soldi presi dalla sanità, i capitalisti “beneficiati” approfittano spesso del paravento dell'emergenza per abbassare i “costi” del personale scaricandolo sulle casse pubbliche. È il caso di Carrefour, che sta facendo incassi alle stelle ma ha mandato 4472 dipendenti in cassa in deroga. Oppure di ArcelorMittal, che ha fatto operazione analoga con i propri lavoratori mentre si prepara ad abbandonare gli stabilimenti italiani dopo aver incassato tutto quello che c'era da incassare.
Poi troviamo anche altri casi, formalmente opposti, ma nei fatti analoghi: come quello di Jabil, che nel suo stabilimento di Marcianise rifiuta di ricorrere ad altre settimane di cassa per passare direttamente al licenziamento degli operai, nonostante il blocco dei licenziamenti formalmente in vigore. Oppure la Novolegno, che approfitta della pandemia per gettare su una strada i suoi lavoratori campani, nel mentre aumenta la produzione nel suo stabilimento friulano.

Non si tratta di casi. Si tratta di un sistema economico fondato sulla rapina. I profitti sono privati, le risorse di cui beneficiano sono pubbliche. Dunque sono pagate dagli stessi che col proprio lavoro mantengono chi li sfrutta. Ciò vale anche, come si vede, quando i profitti procedono a gonfie vele. A maggior ragione se poi subentra la crisi vera, come nel caso dell'automobile. FCA batte cassa per 6,5 miliardi, coperti da garanzie pubbliche a favore della banca che elargisce il prestito. E la stampa di sua proprietà rivendica il suo diritto a pagare le tasse a chi vuole (Olanda) e a distribuire un utile di oltre 5 miliardi agli azionisti. Un impegno “scolpito su pietra”, dichiara il giovane Agnelli. Come scolpiti su pietra sono stati gli impegni che tutti i governi hanno preso da un secolo a oggi per riempire il portafoglio della FIAT. Stessa storia per i Benetton, che controllano Atlantia, che controlla Autostrade. La quale oggi rivendica i miliardi “dovuti” del sostegno pubblico con la stessa naturalezza con cui li ha intascati per vent'anni.
Del resto, così fan tutti. La Germania versa dieci miliardi agli azionisti di Lufthansa, la Francia mette cinque miliardi nel portafoglio della Renault...

La conclusione è semplice. Altro che dimostrare scandalo per la rivendicazione comunista dell'esproprio del capitale! La nazionalizzazione delle grandi aziende sotto controllo dei lavoratori e senza indennizzo per i grandi azionisti significa semplicemente riprendersi ciò che i lavoratori hanno già pagato con decenni di regalie pubbliche e di sfruttamento. L'esproprio vero è quello che si compie ogni giorno ai loro danni da parte dei capitalisti. Solo una rivoluzione cambia le cose.

Partito Comunista dei Lavoratori

“PRIMA GLI SVIZZERI”: QUANDO QUELLI DA CACCIARE ERANO GLI ITALIANI

Di Piero Nobili - Unità di Classe n°4 - maggio/giugno 2020




Il 7 giugno del 1970 è una data dimenti­cata. In quel giorno si votò un referen­dum per allontanare gli immigrati dalla Confederazione Elvetica: per soli cento­mila voti il pronunciamento xenofobo fu respinto. Il referendum si scagliava in modo particolare contro i lavora­tori italiani, che a quel tempo costitu­ivano oltre il cinquanta per cento della popolazione straniera presente nel paese. L’intolleranza raggiunse vette inesplorate e ogni nequizia venne impu­tata agli italiani: “Insidiano le nostre figlie”, “ci rubano il lavoro”, “sanno solo oziare”, “si muovono in gruppo, sono chiassosi e ostruiscono i marcia­piedi”. La spirale d’odio generata dal referendum arrivò persino a coniare uno sprezzante appellativo che equi­parava gli italiani ai maiali.
Quel referendum evoca una vicenda passata che parla al presente. Un presente segnato da un razzismo feroce, che alza i muri e chiude le fron­tiere di fronte alle migrazioni epocali di questo millennio. Le parole d’ordine usate cinquant’anni fa contro i lavora­tori immigrati richiamano quelle che oggi compongono il lessico dei movi­menti sovranisti. Lo stesso slogan che contrassegnò quell’aspra campagna referendaria contro i lavoratori italiani (“prima gli svizzeri”) è oggi incorpo­rato dalle forze nazionaliste nella loro trincea eretta per fini propagandistici. Infatti, la formula “prima gli Italiani”, “America first”, “les Français d’abord”, etc., rappresenta ad ogni latitudine la cifra distintiva della narrazione sovra­nista. Medesime sono anche le ragioni che spingono le persone a migrare, sebbene quelle odierne abbiano carat­teristiche diverse da quelle del passato. Uguali sono pure le dinamiche sociali e politiche che, in nome del profitto, portano a vessare gli ultimi della scala sociale. Cinquant’anni fa erano gli italiani che cercavano fortuna all’e­stero a subire ostilità, discriminazione e condizioni di lavoro improponibili, oggi invece sono i proletari di altri paesi che cercano rifugio a patire la sferza del capitale e a subire l’astio malefico del nazionalismo sovranista.
La Svizzera Felix
Nella Svizzera del secondo dopoguerra la richiesta di manodopera era alle stelle. La forza lavoro locale non era più sufficiente: la popolazione stava invec­chiando e il tasso di attività femminile era molto basso. La florida economia elvetica, per continuare ad agganciare la congiuntura positiva, aveva biso­gno di braccia per le sue fabbriche e le sue nuove infrastrutture, ma si scon­trava con questo dato oggettivo, aggra­vato anche dal fatto che sempre più giovani rifiutavano i lavori manuali. Da qui il ricorso alla manodopera stra­niera, in modo particolare a quella che proveniva dallo stivale, da sempre suo tradizionale bacino di reclutamento. Nell’arco di vent’anni sono due milioni gli italiani che emigrano nel paese di Guglielmo Tell. Per la maggior parte si trattava di operai poco o per niente qualificati. Queste persone lasciavano un paese che non riusciva a garantire una vita dignitosa a tutti. All’inizio vi giungono i lombardi e i veneti, impie­gati soprattutto nell’agricoltura e nell’e­dilizia; e poi nei primi anni Sessanta è dalle regioni del meridione d’Italia che affluisce un fiume in piena che scorre verso la Confederazione.
Nell’estate del 1948 la Svizzera aveva siglato un patto con l’Italia per assicu­rarsi il reclutamento di manodopera a buon mercato. I lavoratori vennero inquadrati in contratti annuali o stagio­nali che garantivano la massima fles­sibilità ai padroni rossocrociati; per loro nessuna prospettiva di cittadi­nanza era prevista. Tale accordo soddi­sfaceva entrambi i contraenti. Per gli imprenditori elvetici l’immigrazione serviva per un duplice motivo: da un lato sul piano economico essa consen­tiva un profitto più elevato – dato il minor costo della manodopera stra­niera –, e dall’altro sul piano politico essa assolveva il compito di creare un “esercito di riserva”, col quale ricat­tare la stessa classe operaia svizzera. In Italia, invece, il governo a guida demo­cristiana era ben contento di spingere i propri concittadini ad oltrepassare il confine, perché in questo modo si libe­rava di una significativa quota di disoc­cupati. Un obiettivo per nulla celato, al punto che nel 1949 lo stesso De Gasperi arrivò ad invitare i meridionali a «partire verso le strade del mondo».
Giunti con le valigie sdrucite tenute insieme da un giro di spago, gli emigrati si accorgeranno presto della vita grama che li attende. Le paghe sono esigue, i ritmi di lavoro sono esasperati, gli inci­denti sul lavoro numerosi, come quello del cantiere della diga di Mattmark dove, nell’estate del 1965, a causa di una frana, muoiono 56 nostri operai. Alle coppie di emigranti è vietato ospi­tare i propri figli, costringendo così migliaia di bambini a vivere in clande­stinità; mentre nessun forma di inte­grazione e di inclusione è riservata a quelli che vengono considerati dalla legge “lavoratori temporanei”. Vietata, pure, era la propaganda a favore del comunismo, motivo per cui in quegli anni saranno molti i militanti del PCI espulsi dal paese a causa delle loro idee politiche. Alloggiati in dormitori fati­scenti e vessati da un severo decalogo comportamentale, i lavoratori italiani contribuiranno con il loro sudore alla crescita economica di un paese che, in pochi anni, aveva quadruplicato il suo prodotto interno lordo, ed era divenuto un paese prospero, privo di disoccu­pati, e dotato di un sistema bancario che lo faceva uno dei principali centri della finanza mondiale.
Il referendum anti-immigrati
Nel 1964 le autorità di Berna e quelle di Roma firmarono un nuovo accordo che emendava quello precedente, intro­ducendo alcuni miglioramenti. In parti­colare, veniva riconosciuto il diritto al ricongiungimento familiare, e la possibi­lità di cambiare lavoro dopo cinque anni di residenza in Svizzera. Sono aperture limitate, che suscitano però il malcon­tento di una parte della popolazione locale. Un’ampia porzione dell’opinione pubblica inizia a mobilitarsi contro quello che viene ritenuto un cedimento, e la lotta contro l’Überfremdung', l’“in­forestierimento” del paese, diventa un argomento centrale del dibattito pubblico. La crescita del sentimento xenofobo si nutre della paura dell’altro, e rinfocola i temi identitari da sempre presenti nel paese degli orologi, del cioccolato e del segreto bancario. Ben presto trova chi gli dà una rappresen­tanza politica ed una traduzione isti­tuzionale. È James Schwarzenbach, un rampollo di un’importante dinastia industriale, diventato parlamentare del partito di estrema destra Azione Nazionale: è lui a promuovere un refe­rendum che chiede di fissare un tetto massimo del 10% per la popolazione straniera. In nome del diritto di “essere padroni a casa nostra” il leader popu­lista imposta una campagna politica livida, aggressiva, tesa a sollecitare la paura nei confronti del diverso. In una fase di profondo mutamento, Schwarzenbach riesce a parlare agli strati popolari agitando temi culturali ed identitari: la Svizzera è raffigurata come un piccolo paese in procinto di perdere le proprie sicurezze sociali. In Europa è la prima volta, dalla fine della guerra, che una formazione politica si esprime con toni così apertamente xenofobi, chiedendo la deportazione di trecentomila stranieri.
La campagna referendaria sarà aspra, combattuta, contrassegnata anche da episodi di violenza consumati a danno degli immigrati. Per il No si schiereranno gli imprenditori, che vogliono conti­nuare a disporre di una forza lavoro ricattabile, le chiese e il sindacato. Ma saranno molti gli operai elvetici che voteranno a favore di Schwarzenbach. Infatti, il pronunciamento xenofobo risulterà maggioritario tra i quartieri operai di Zurigo, mentre il centro alto borghese esprimerà la sua contrarietà. Una evidente e dolorosa frattura di classe, che rivelerà il malcontento di una parte del proletariato elvetico, disorientato dai cambiamenti repentini nella vita sociale del paese, e ancora legato, in quel momento, agli stereo­tipi tradizionali della vecchia società patriarcale.

domenica 24 maggio 2020

MES E RECOVERY FUND

di Marco Ferrando - Unità di Classe n°4 - maggio/giugno 2020





Europeisti e sovranisti alla coda dei poli borghesi

Esplode il dibattito pubblico su chi paga i costi della recessione. La grande borghesia invoca la soluzione degli eurobonds, mentre incassa le risorse del MES. Le opposizioni “sovraniste” denunciano il MES come svendita dell'I­talia alla dittatura di Bruxelles. Ciò che unisce i due schieramenti è che non devono pagare i capitalisti.

L’europeismo liberale di fronte alla nuova crisi

La grancassa degli eurobonds è lo spartito preferito dall'europeismo borghese.
La pressione della più grande crisi capi­talista del dopoguerra ha costretto gli imperialismi europei a concordare scelte straordinarie. La BCE, dopo le prime incertezze, ha ripreso su larga scala l'acquisto di titoli di Stato, svincolandosi dalle pressioni della Bundesbank. Il Fiscal Compact è stato sospeso. I cosiddetti “aiuti di Stato” a imprese e banche sono stati relati­vamente liberalizzati. Formalmente tutto avviene dentro la cornice dei vecchi Trattati e delle loro clausole d'ec­cezione. Ma la realtà è che il quadro dell'Unione Europea è scosso nelle sue fondamenta.
Le nuove politiche finanziarie sono la prima risultante di questa scossa. Ai 750 miliardi di acquisti della BCE si accompa­gna la costituzione di nuovi fondi conti­nentali: il fondo SURE, concentrato sugli ammortizzatori sociali, il fondo costituito dalla Banca Europea per gli Investimenti, concentrato sulle infra­strutture, e il Recovery Fund, promosso direttamente dalla Commissione Europea. Si tratta in forme diverse di eurobonds. Cioè di emissione di titoli di debito europei.
Gli annunciati 1000 miliardi dei Recovery Bonds sono al riguardo emblematici. I liberal borghesi li presentano nei diversi Stati come prova della ritrovata solida­rietà europea. In realtà sono una gigan­tesca operazione a debito. In pratica la Commissione Europea, in cui siedono tutti gli Stati imperialisti, emette propri titoli e punta a collocarli sul mercato. Cioè chiede soldi a prestito presso gli acquirenti dei bond, generalmente grandi banche, compagnie di assicu­razioni, fondi di vario genere, impe­gnandosi a ripagare il debito con gli interessi. L'emissione è coperta col bilancio economico della UE, oggi l'1% del PIL europeo, che verrebbe allo scopo incrementato. I soldi presi a prestito dal capitale finanziario verreb­bero poi girati ai diversi Stati nazio­nali. Una parte a fondo perduto, un'al­tra parte a prestito, con nuovo debito pubblico dello Stato nazionale benefi­ciario. Gli Stati nazionali a loro volta li gireranno a banche e imprese di casa propria. Le classi lavoratrici del conti­nente saranno chiamate a pagare l'in­tera partita di giro. Pagheranno di tasca loro, sia per allargare il bilancio euro­peo con cui coprire il debito continen­tale, sia per finanziare l'accresciuto debito pubblico nazionale. Ogni inde­bitamento pubblico verso il capitale finanziario alla fine lo pagano i sala­riati. L'unica vera solidarietà europea è quella tra i capitalisti a spese degli operai. La subordinazione di Sinistra Italiana e della burocrazia sindacale agli eurobonds è solo la copertura di questa realtà.

Il MES e l'inganno dei sovranismi

Non diverso è il Meccanismo di Stabilità Europeo (MES).
Si tratta del prolungamento del vecchio “Salva Stati”, varato a suo tempo col voto favorevole di chi denuncia oggi il MES come svendita della Nazione alla Germania. In realtà la svendita “ai tede­schi” non c'entra nulla. C'entra molto la truffa per i lavoratori europei, italiani e tedeschi.
Il MES è un fondo intergovernativo gestito dai diversi Stati nazionali, in proporzione al capitale investito. L’Italia è il terzo contributore del MES in Europa, dopo Germania e Francia, con decine di miliardi versati, soldi pagati dai lavoratori italiani. Le decisioni sono prese con maggioranza qualificata. Il peso dell'Italia è determinante. Se dunque si trattasse di una “questione nazionale”, i sovranisti dovrebbero sentirsi garantiti. Il MES è in realtà una cassa comune degli imperialismi euro­pei. Se l'Italia ricorre al MES attinge al fondo comune per cui già ha smunto i propri salariati. Facendo debito, cioè comprando i titoli emessi dal MES, l'Italia si impegna a ripagarlo presso la cassa comune, a spese nuovamente dei propri salariati.
Perché il coro unanime dei capitalisti italiani a favore del MES? Innanzitutto, perché sono soldi immediatamente disponibili (36 miliardi). In secondo luogo, perché il ricorso al MES attiva una copertura garantita durevole della BCE sui titoli di Stato italiani tenendo bassi i tassi di interesse. Ma c'è una terza ragione, ancor più concreta: il ricorso al MES serve a finanziare il taglio dell'IRAP, la tassa che finanzia la sanità pubblica.
L'IRAP è la tassa pagata dai padroni che versa alla sanità 12 miliardi l'anno. Il governo l'ha già tagliata per 4 miliardi col decreto del 13 maggio, alla faccia dell'emergenza sanitaria. Confindustria chiede il suo azzera­mento totale. Come coprire una cifra così imponente? Ricorrendo al MES. Per dare al fondo una parvenza di fina­lità sociale gli accordi prevedono che i prestiti presi dal MES siano destinati alle spese sanitarie “dirette e indirette”. Dunque, una parte della spesa sanita­ria verrebbe pagata facendo debito che sarà poi accollato ai lavoratori, e i padroni potranno intascarsi l'abbat­timento dell'IRAP, come già in larga misura quello dell’IRES. Notare oltre­tutto il termine spese sanitarie “indi­rette”. Significa che una parte degli stessi prestiti MES verranno impiegati per finanziare i costi aziendali della pandemia (dispositivi, sanificazioni, riorganizzazioni produttive) liberando ulteriori risorse per i profitti. Insomma, i padroni intascano da ogni lato. E non i padroni tedeschi e francesi, ma gli italianissimi padroni di casa nostra. Altro che “svendita alla Germania”, come dice Rizzo alla coda di Salvini (e a copertura della borghesia italiana).
C’è di più. Il MES è un grande fondo creditizio. L'Italia non è solo un paese debitore, ma anche un imperialismo creditore, che come tale ha partecipato, ad esempio attraverso il Fondo Salva Stati, allo strozzinaggio della Grecia, al fianco dell'imperialismo tedesco e francese.
L'Italia ha in pancia il debito estero di numerosi paesi dei Balcani (Romania, Bulgaria, Montenegro, Albania) come di Stati nord africani, e usa questa leva di pressione per imporre loro le proprie condizioni: privatizzazioni, agevolazioni fiscali sugli investimenti italiani, conces­sione semi gratuita di terreni, tagli alle spese sociali a garanzia del debito. In quanto cassa comune degli imperia­lismi europei, il MES è anche innanzi­tutto la cassa comune dei paesi credi­tori, Italia inclusa.
Altro che “povera Italia”! I capitali­sti italiani stanno tra gli strozzini, al fianco dei capitalisti tedeschi, francesi, spagnoli, contro i propri lavoratori. I lavoratori italiani, francesi, tedeschi, spagnoli, stanno dall'altra parte della barricata. Assieme ai popoli oppressi, rapinati dai propri capitalisti.
Quanto al debito italiano, a differenza di quello greco, non è detenuto da banche tedesche o francesi, ma in prevalenza dalle banche tricolori. Il debito pagato dai lavoratori italiani (60 miliardi annui di soli interessi) lo intasca il “nostro” capitale finanziario.

Classe, internazionalismo, rivoluzione

Qui sta l'inganno delle posture sovrani­ste ed euro liberali. Entrambe nascon­dono ai salariati chi è il loro nemico prin­cipale: i padroni di casa nostra.
Per questo la nostra battaglia per una patrimoniale straordinaria e per la cancellazione del debito pubblico verso il capitale finanziario ha una valenza non solo economica ma politica. Coniuga l’indipendenza del movimento operaio contro i poli borghesi (liberali e reazio­nari), l'alleanza tra i lavoratori di tutto il continente, le ragioni dei popoli rapi­nati dall'imperialismo, anche dal nostro.
È la riprova che solo un programma di rivoluzione può sostenere una posi­zione internazionalista, contro ogni forma di sciovinismo.



sabato 23 maggio 2020

SCUOLA - OGGI A MILANO IN PIAZZA CON GLI INSEGNANTI DEL COORDINAMENTO PRECARI DELLA SCUOLA AUTOCONVOCATI

Oggi pomeriggio siamo stati in piazza con gli insegnanti del Coordinamento Precari della Scuola Autoconvocati, contro il concorso "ammazzaprecari" tanto caro alla #Azzolina, ma non a decine di migliaia di insegnanti che, dopo anni di servizio, invece di essere stabilizzati vengono sottoposti all'umiliazione di un concorso a crocette. Ecco qui un intervento di Elena Felicetti, militante del PCL e del Coordinamento Precari della Scuola Autoconvocati. Solo con l'unità delle lotte potrà essere garantita la stabilizzazione delle decine di migliaia di insegnanti precari, non uno di meno, e cacciare questo governo nemico dei lavoratori.


 

venerdì 22 maggio 2020

PRENDIAMO PAROLA, RIPRENDIAMO LE PIAZZE



Il 1° maggio abbiamo preso parola con testimonianze, denunce, lotte per una nuova primavera ecologica e sociale. Lo abbiamo fatto virtualmente, dalla radio, sulle reti sociali. Responsabilmente abbiamo rispettato le regole imposte per la tutela della salute di tutte e tutti. Oggi, vogliamo riprenderci anche le piazze.
Le piazze della Milano raccontata dai media come città degli eventi e delle vetrine sfavillanti, del consumo e del divertimento, e che rappresenta in realtà la punta più avanzata di un sistema di sfruttamento diffuso che vuole negare agli strati popolari i fondamentali diritti vitali.

Tutte le contraddizioni di questo sistema sono esplose con l’emergenza sanitaria provocata dal COVID-19. Un sistema che si vuole riproporre anche ora, nella cosiddetta “fase 2”.
Chi ne farà veramente le spese saranno i lavoratori e le lavoratrici, soprattutto quelli e quelle con contratti precari e ultra flessibili che inondano la città nei viali dello shopping, nelle aziende di servizi, nei centri commerciali ecc., che si sono trovati da subito senza protezioni forti.
Nella prima fase lo Stato ha regalato 400 miliardi di euro per prestiti alle imprese. Nel decreto appena varato l’approccio è lo stesso: soldi soprattutto alle imprese che verranno garantiti dalle tasse dei contribuenti, cioè soprattutto lavoratori dipendenti e pensionati; i cassaintegrati e le cassaintegrate subiranno perdite reddituali anche di quasi la metà del loro salario normale, mentre coloro che attendono che la Regione inoltri le domande di cassa integrazione in deroga non sanno come mettere insieme il pranzo e la cena; agli sfruttati e alle sfruttate con “false partite iva” verrà rinnovato il misero bonus di 600 €, e gran parte dei lavoratori e delle lavoratrici con contratti precari continueranno a rimanere senza lavoro e senza un reddito certo.

La sanità cittadina, inoltre, è al collasso. Gli ospedali pubblici, martoriati dalle contro-riforme di aziendalizzazione e dalle decine di miliardi di euro tagliati a beneficio delle banche, si sono trovati a dover arginare il dilagare dell’epidemia senza adeguate forniture di dispositivi di protezione, la saturazione dei posti letto, la mancanza di strumentazioni mediche e la non esecuzione di tamponi generalizzati. Su questa scellerata strada la Regione continua a insistere non mettendo in opera nessun sistema di diagnostica a tappeto, (i famosi tamponi introvabili se non per i ricchi e a pagamento), che permetta di sapere chi è malato o portatore asintomatico e chi no, mentre utilizza la propaganda piena di retorica raccontata nello spot “la Lombardia riparte”.
È questo il risultato di un sistema unicamente incentrato sul profitto privato e non sul benessere collettivo: non è un caso, che poco prima dello scoppio dell’emergenza, Giunta Regionale e Comunale stessero organizzando lo smantellamento degli Ospedali San Carlo e San Paolo, per accorparli in un’unica struttura con la perdita di circa 500 posti letto, per far spazio a nuovi progetti di speculazione edilizia privata. Due ospedali che sono stati fondamentali per la gestione dell’emergenza Covid-19 in città.
Simboli del fallimento delle politiche liberiste di questo periodo rimarranno l’ospedale inaugurato in fretta e furia alla Fiera di Milano, che dalle prime indiscrezioni avrebbe dovuto ospitare almeno 600 posti per terapia intensiva, alleviando così la grave crisi in cui si trovavano gli ospedali lombardi, e che alla fine ha avuto un massimo di 25 pazienti, e che ora si avvia alla chiusura; oltre che il conto dei morti, che in Lombardia ha superato i 15.000 casi, quasi la metà di quelli nazionali, con un contributo enorme di decessi tra il personale sanitario. Le migliaia di persone anziane morte nelle Rsa, basti pensare agli oltre 100 decessi nel Pio Albergo Trivulzio, inoltre, sono la conferma di quanto, anche a livello territoriale, la gestione dell'emergenza COVID-19 si sia rivelata fallimentare.

Il Governo ha deciso di rispondere durante l’emergenza COVID in due modi: con sgravi fiscali e regali economici alle imprese, che il Presidente del Consiglio Conte ha definito "Una potenza di fuoco per una nuova primavera", a fronte di briciole per le lavoratrici e i lavoratori; e con un clima di pressante limitazione delle libertà personali, confini e punti sensibili della città militarizzati, minacce di utilizzare i droni per il controllo degli assembramenti, e una fastidiosa e penetrante campagna sullo restare a casa sponsorizzata da tutti i media e promozionata dai vip nelle loro ville di lusso.

Ora nella fase 2 si ripropone lo stesso schema, insieme alla colpevolizzazione di chiunque aneli a riprendersi anche spazio per le proprie libertà, pur responsabilmente. Un decreto, il cosiddetto “DL Rilancio” di oltre quattrocento pagine che ha la stessa impostazione, che non presta attenzione alle fasce più deboli che saranno colpite duramente dalla crisi socio economica che ci aspetta, e delle cui dimensioni nessuno sembra volersi rendere conto.
Un decreto che contiene un provvedimento di sanatoria per le persone migranti parziale ed escludente, che, nella sua visione utilitaristica, le considera mano d’opera usa e getta, solamente braccia da impiegare nell’agricoltura, nell'allevamento o nella cura domestica. Una serie di misure inadeguate e con misure che sottendono a nuovi ricatti, come la richiesta di un versamento amministrativo di almeno 400 euro a persona: chi pagherà realmente? Il datore di lavoro come prevede il decreto o il lavoratore o la lavoratrice che pur di ottenere un permesso se ne accollerà il costo?
Questa crisi, e ora le modalità con cui pretendono di uscirne, hanno messo definitivamente in luce le diseguaglianze e le ingiustizie di questo sistema. La normalità che ci avevano imposto e a cui ci avevano abituato, era il problema.
Per il nostro territorio il problema era il modello della Milano città vetrina del consumismo sfrenato, della sanità privata, della mercificazione dei beni comuni e dei servizi pubblici, dell’inquinamento ogni giorno al di sopra delle soglie tollerabili, degli sgomberi militarizzati dei quartieri popolari, di un trasporto locale oggetto di speculazione privata, della precarietà diffusa. Oggi la città della precarietà sta diventando la città della povertà, come si è visto dalla quantità incredibile di domande per il cosiddetto “buono spesa” – più di 36.000 - arrivate all’amministrazione meneghina che ha risposto a meno della metà, utilizzando ancora una volta il sistema della residenza come requisito basilare, scegliendo di esternalizzare al terzo settore e al volontariato l’aiuto alle vecchie e alle nuove povertà.

Durante tutta l’emergenza nessuna attenzione alle bambine e ai bambini, a tutto il mondo studentesco e delle lavoratrici e lavoratori della scuola, nessuna prospettiva per il futuro, come per tutto il mondo dello spettacolo, delle arti e della cultura, settori dove il precariato era la regola prima, e la disoccupazione la realtà oggi.

Nonostante ciò, la tanto decantata “ripartenza” non promette bene: i primi provvedimenti non hanno preso in considerazione né hanno agito in alcun modo sulle condizioni che hanno reso fertile il terreno per la diffusione del virus. Basti pensare che alle imprese, a fronte dei miliardi regalati, nessun vincolo, nessuna presa d’impegno viene richiesta in merito alle condizioni di sicurezza sul lavoro e sul rispetto della salute e dell'ambiente, nemmeno ora che stanno praticamente riaprendo tutte.

Per questo, dopo la piazza virtuale del 1° maggio, dove abbiamo rilanciato con forza le nostre rivendicazioni per condizioni materiali di reddito e di vita dignitosa per i lavoratori e le lavoratrici (oggi tutti più o meno precari/e), i/le disoccupati/e, i/le pensionati/e, gli/le inquilini/e e gli studenti e le studentesse, oggi torniamo a prendere parola, e torniamo nelle nostre piazze. Ripartiamo dalle nostre rivendicazioni, con cui dobbiamo iniziare a porre le condizioni per costruire la nostra Primavera, che non può che basarsi su una transizione Ecologica e Sociale che porti alla fine di questo modello di produzione basato sullo sfruttamento dell'uomo sull'uomo.

Una primavera che abbatta quella normalità fatta di sfruttamento, di precarietà, di sofferenza per le persone più deboli; e che nasca dall’unità, dal coraggio, dalla creatività, di coloro che hanno pagato e continuano a pagare il prezzo delle ingiustizie del mondo che conosciamo.

Rivendichiamo:
- un REDDITO GARANTITO PER TUTTI E TUTTE: ammortizzatori sociali che coprano il 100% degli stipendi; un reddito di base permanente, di almeno 1000 €, per tutelare precari/e e disoccupati/e anche dopo il Coronavirus.

- LAVORO STABILE E TUTELATO: stop ai licenziamenti e al furto illegittimo di ferie e permessi; riapertura, o continuità produttiva, solo per le aziende in grado di assicurare la piena e totale sicurezza dei dipendenti; chiusura settimanale delle aziende, a partire dai supermercati la domenica, anche per consentire operazioni di sanificazione; tamponi generalizzati per chi costretto a lavorare; regolamentazioni più stringenti per il cosiddetto “smart-work” o “lavoro agile” che normino per esempio le spese per la messa in sicurezza del luogo di lavoro (casa), le dotazioni, il riconoscimento del pasto, il diritto alla disconnessione, con una particolare attenzione alle lavoratrici per le quali lo smart work potrebbe diventare una vera e propria trappola. Chiediamo inoltre una revisione totale del sistema degli appalti e delle false cooperative con internalizzazioni nel pieno rispetto delle leggi e dei contratti nazionali.

- DIRITTI PER I/LE MIGRANTI: sanatoria e regolarizzazione generalizzata e incondizionata per tutti gli/le immigrati/e, il titolo di soggiorno slegato dal lavoro, per assicurare assistenza sanitaria, lotta al lavoro nero e servizi pubblici alle fasce deboli. Chiusura di tutti i Cpr, i nuovi Lager di stato, e nessuna nuova apertura.

- BENI COMUNI E SERVIZI PUBBLICI, UNIVERSALI E GRATUITI: diritto all’istruzione, alla mobilità, alla casa, alla sanità.

- Vogliamo ora una SANITÀ PUBBLICA, GRATUITA, UNIVERSALE, LAICA partendo dalla cancellazione dei ticket sanitari, dall’assunzione di nuovo personale a tempo indeterminato, dalla stabilizzazione dei precari della ricerca, dall’aumento degli stipendi, dalla reinternalizzazione degli appalti e da maggiori investimenti nella ricerca pubblica. No al welfare aziendale.

- una TRANSIZIONE ECOLOGICA: investimenti in produzioni sempre più a impatto zero, per produrre beni necessari alla soddisfazione della società e delle necessità umane, senza sfruttare la natura. Riducendo l’orario di lavoro almeno a parità di salario, non dimenticando la questione dell’aumento dello stesso che oggi è più che mai necessario, in modo da accrescere il tempo libero delle persone e ridurre al contempo la piaga della disoccupazione.
- Una RIFORMA DEL FISCO per tassare tutti i redditi con lo stesso criterio e in forma progressiva e PATRIMONIALE STRAORDINARIA d’emergenza sul 10% dei patrimoni superiori a 1 milione di € a carico del 10% più ricco della popolazione italiana, per compensare i miliardi di tagli al SSN degli ultimi anni e garantire una ripresa reale della sanità pubblica.

Il 27 MAGGIO DALLE ORE 17.30
PRESIDIO IN VIA MELCHIORRE GIOIA,
DAVANTI AL PALAZZO DELLA REGIONE LOMBARDIA

Aderiscono:
AccoglierSi
As.ne Naz. di Amicizia ItaliaCuba circolo di Milano
Comunità Curda Milanese
CUB Milano
Ecologisti del Ticino
Federazione Anarchica Milano
Fronte Popolare sez. Milano
Mai più Lager - No ai CPR
Partito dei Carc Federazione Lombardia
Partito della Rifondazione Comunista Federazione di Milano
PCL Milano
SGB Lombardia
Sinistra Anticapitalista Milano
Usi/Cit Milano
VERDI/Cambiamo Ossona

Per aderire mandare mail a:
primaveraecologicasociale@gmail.com

IL SINDACALISMO DI BASE E CLASSISTA ALLA PROVA DEL COVID-19

Di Federico Bacchiocchi – Unità di Classe Maggio/Giugno 2020



L’epidemia da coronavirus, lo stato di emergenza sanitaria e il suo trascina­mento su una profonda crisi econo­mica dovuta alle misure di isolamento sociale contro il contagio virale, costi­tuiscono un grande banco di prova per le capacità di risposta della classe lavo­ratrice, a partire dalle sue organizza­zioni politiche e soprattutto sindacali.
Il padronato ha già sciorinato la sua ricetta. La crisi compromette in gran parte i profitti del settore maggiorita­rio del capitalismo italiano. Non tutto: alcuni comparti al contrario vedono un grande aumento dei profitti dovuti proprio ai provvedimenti sanitari. È il caso del commercio alimentare, di quello elettronico, del commer­cio online (Amazon), della logistica. Tuttavia, sicuramente la crisi colpisce al cuore i settori strategici del capitali­smo italiano: automobile, moda e lusso, turismo, solo per fare degli esempi.
Il neopresidente di Confindustria, Carlo Bonomi, ha espresso il suo mandato al governo: deroghe sistematiche alla contrattazione collettiva nazionale su mansioni, orari, ferie e turni, defiscaliz­zazione ulteriore dei profitti, ad esem­pio la cancellazione dell’IRAP, credito bancario alle imprese garantito dallo Stato, ossia dall’erario pubblico, abbat­timento della cosiddetta burocrazia, da intendersi in molti casi con l’aboli­zione del normale controllo di legalità.
Confindustria è coerente: bisogna fare ogni sacrificio, per quanto straordina­rio, per ricostruire le normali condi­zioni del profitto capitalistico, dell’ar­ricchimento del padronato, con buona pace della classe lavoratrice attana­gliata dell’aumento del tasso di sfrut­tamento, dal dimagrimento salariale, da un’ondata di massiccia disoccupa­zione e sottoccupazione, dall’ulteriore perdita di diritti (il diritto di sciopero e di manifestazione), da nuovi tagli a sanità, scuola e servizi sociali. Un’autentica tempesta perfetta.
In altri scritti abbiamo già denun­ciato la complicità della burocrazia dei maggiori sindacati, CGIL, CISL e UIL, nello spianare la strada a questo progetto (“Liquidità alle imprese!”, raccomanda Landini). La pantomima andata in scena sul Protocollo di Intesa sulla sicurezza delle condizioni di lavoro firmato a marzo, con il corollario della scandalosa autocertificazione delle aziende, che senza garanzie sanitarie hanno potuto continuare la loro atti­vità, e addirittura lo squallido sotter­fugio del silenzio-assenso, è servita solamente ad ingannare le lavoratrici e i lavoratori, a cominciare da quelli iscritti a questi sindacati, e metterli nelle condizioni di accettare i nuovi sacrifici imposti dalla ricostruzione capitalista post epidemia.
Qui vogliamo occuparci di quella parte di avanguardia di classe che si ricono­sce nel composito mondo del sindaca­lismo di base e classista.
In questo mondo alberga con buona approssimazione l’avanguardia più combattiva della classe lavoratrice italiana, con l’eccezione di alcuni settori, come quello dell’industria automobi­listica e metalmeccanica ad esempio, dove è scarsamente radicata, mentre il ruolo più conflittuale è sostenuto dall’Opposizione CGIL.
Com’è del tutto ovvio, la crisi sanita­ria ha investito questo settore scon­volgendone la normale attività sinda­cale. I sindacati di base, o conflittuali, si presentavano ai nastri di partenza dell’emergenza epidemica non proprio in condizioni di forza e sviluppo. Tutt’altro. Sono da tempo ormai attra­versati da tendenze all’autoreferenzia­lità e al settarismo di organizzazione, il che comporta una serie di frammen­tazioni, rari tentativi di unione, spesso poi falliti e dunque nuove separazioni. Praticamente tutte le organizzazioni sono attraversate da questi processi che, al di là di ogni possibile valuta­zione di legittimità, obbiettivamente indeboliscono questo settore d’avan­guardia nel suo complesso e soprat­tutto ne limitano la capacità di presa sulla massa delle lavoratrici e dei lavo­ratori, sindacalizzati o meno.
Le ragioni politiche ed ideologiche di vecchia data che giustificano tale frammentazione, ragioni di cui non è nell'economia di questo articolo discu­tere la legittimità, pur ritenendo di avere solidi argomenti per farlo, mili­tano evidentemente contro la possi­bile unità d’azione tra queste forze. In condizioni normali ciò basta a costitu­ire un danno per la capacità di costruire vertenze sostenute dalla forza dell’u­nità di lavoratrici e lavoratori nei diversi settori. In condizioni straordinarie, come l'attuale crisi sistemica indotta dall'emergenza sanitaria, ne favori­scono il più completo disarmo a fronte dell'attacco padronale.
Ma la coscienza del pericolo di essere travolti si sta facendo strada, seppure a fatica, nel corpo militante e in taluni casi nei quadri dirigenti di queste orga­nizzazioni. Perciò sono state promosse iniziative e messi in cantiere processi che tentano di dare un risposta.
In tutte pesa l'inerzia della linea poli­tico-sindacale seguita in precedenza.
In questo quadro si collocano iniziative come lo sciopero generale indetto da USB il 25 marzo 2020 sul tema delle condizioni di sicurezza sul lavoro non garantite dal Protocollo d'Intesa tra Governo, Confindustria e CGIL, CISL e UIL. Uno sciopero giusto ma proclamato con modalità autocentrate, se non settarie, in ogni caso senza il coinvolgimento delle altre organiz­zazioni sindacali. Probabilmente ciò ha fruttato un incasso di visibilità per USB, ma non ha giovato all'incisività e alla riuscita dello sciopero.
Altre organizzazioni non sono arrivate ad indire lo sciopero generale, limitan­dosi, come la CUB, a mettere a dispo­sizione delle lavoratrici e dei lavoratori dei pacchetti di ore di sciopero sempre a tutela delle proprie condizioni di sicu­rezza dal contagio.
Il Si Cobas a sua volta ha promosso scio­peri nel settore della logistica e tentato perfino picchetti, da ultimo nelle gior­nate del 31 aprile e 1° maggio, colpiti dalla repressione poliziesca.
Un quadro composito di iniziative, dunque, ma senza una linea unitaria.
La constatazione dell'insufficienza delle proprie forze prese singolarmente si è infine fatta strada tra gli attivisti e alcune organizzazioni hanno cercato di aprire percorsi che tenessero conto di questa istanza.
Così il Si Cobas ha promosso il patto d'azione tra diverse forze politiche, sindacali e sociali, attraverso una serie di assemblee di impronta unitaria e la ricaduta su un programma vertenziale avanzato di difesa integrale di salari, occupazione, diritti, sanità e servizi sociali, finanziati da una patrimoniale straordinaria e dal drastico taglio delle spese militari.
Questo percorso, di cui il PCL è parte­cipe, segna, a nostro parere, uno sviluppo nella tradizionale azione poli­tica e sindacale del Si Cobas, segnato spesso da elementi di forte autocen­tratura, e determina molto positiva­mente una possibile svolta nel quadro frammentato dell'intervento del sinda­calismo di base e di classe.
L'impegno alla costruzione di un'As­semblea nazionale dei delegati e delle delegate aperto a tutte le lavoratrici e i lavoratori combattivi, di tutti i settori ed indipendentemente dall'apparte­nenza di sigla, ribadisce ancora di più, se possibile, la concretezza della strada presa verso la dimensione di massa dell'unità d'azione.
Su un binario parallelo è collocato il percorso dell'Assemblea degli Autoconvocati, sostenuta da militanti di varie organizzazioni politiche e sinda­cali, a cui anche i compagni del PCL stanno dando il loro apporto. Il segno unitario è il tratto prevalente dell'As­semblea, che si è già riunita più volte con modalità telematiche.
Per questo la nostra indicazione è quella di intrecciare i percorsi, nella logica dell'intervento che ci caratte­rizza, teso a coniugare unità e radi­calità di proposta in funzione di una prospettiva rivoluzionaria.
Infine, anche l’iniziativa di piazza ha conosciuto un importante momento unitario.
È il caso della manifestazione “Per una fase 2 delle lotte”, promossa congiunta­mente dal SGB, ADL Cobas e Si Cobas l'8 maggio davanti alla Regione Emilia- Romagna, con l'intento di segnare la fine del lockdown delle manifestazioni di piazza per sostenere le rivendica­zioni di difesa e rilancio dello stato sociale, del diritto alla salute e sicu­rezza sui luoghi di lavoro, della difesa del salario, della tassazione patrimo­niale e dello stop alle opere inutili. Sono state programmate altre iniziative nel frattempo.
Su questa stessa pagina ospitiamo l’ar­ticolo del compagno Massimo Betti, dirigente di SGB, che descrive bene i contenuti e gli obbiettivi della mani­festazione, nonché dei possibili nuovi sviluppi.
Insomma, siamo di fronte ad azioni ancora limitate per seguito ed incisi­vità, che raccolgono una parte ancora minoritaria dell'avanguardia di classe e indubbiamente sono ancora molto al di sotto di ciò che sarebbe necessario. Tuttavia, sono germogli preziosi di unità d'azione tra forze diverse del sindaca­lismo di classe, al servizio della ripresa delle mobilitazione e della costruzione difficile ma possibile del più ampio fronte unico della classe lavoratrice: il solo modo per resistere all'attacco padronale, alla crisi capitalistica e alla sua catastrofe. Se non ora, quando?

giovedì 21 maggio 2020

NO ALL'UNITÀ NAZIONALE RIPRENDERE IL CONFLITTO ESTENDERE ED UNIFICARE LE LOTTE

IL PASSO DI CARICA DI CONFINDUSTRIA E IL PASSO DEL GAMBERO DI LANDINI

Editoriale di Marco Ferrando – UdC nr4 Maggio/Giugno



Carlo Bonomi irrompe sullo scena­rio politico della crisi italiana. Non contento di aver determinato come capo di Assolombarda la rinuncia alla zona rossa in Val Seriana, non soddi­sfatto di aver ottenuto la riapertura generale della produzione nonostante l'assenza nelle regioni del Nord di condizioni di sicurezza per i lavoratori, il nuovo Presidente di Confindustria presenta la nuova piattaforma padro­nale. “Occorre rivedere, azienda per azienda, la questione degli orari setti­manali, e delle settimane di lavoro durante l'anno, al di là delle attuali norme contrattuali. È necessaria la cancellazione dell'IRAP e la liberaliz­zazione completa degli appalti”.
Questo programma parla chiaro: mano libera nella gestione della forza lavoro e controllo padronale sulla finanza pubblica. La pressione materiale della più grande crisi del dopoguerra spinge il padronato su una linea d'attacco che sembra riesumare l'impostazione di Marchionne nel 2010: una linea di sfondamento antioperaio fuori dalle regole della vecchia contrattazione.
Il quadro è tuttavia più complicato. Marchionne guidava un'azienda da ricollocare sul mercato mondiale, anche per questo agì in proprio e si separò da Confindustria. Bonomi di Confindustria è il presidente eletto. Una linea Marchionne come linea gene­rale del padronato italiano avrebbe
 una valenza dirompente assai più ampia; richiede un quadro politico istituzionale stabile e al tempo stesso lo sollecita.
Il governo Conte asseconda le pres­sioni di Confindustria, regalandole una pioggia di miliardi a partire dalla cancellazione della prima tranche dell'IRAP. Uno scandalo, tanto più in piena emergenza sanitaria. Ma è un governo segnato dalle contraddizioni esplosive della sua maggioranza, e dalla minaccia dello sfaldamento della sua base parlamentare al Senato. È un governo che ha potuto gestire l'emer­genza sanitaria – cui deve anzi parados­salmente la sopravvivenza – ma non ha la forza per gestire la “ricostruzione”. Men che meno una politica d'urto. Il grande capitale sogna non a caso un governo Draghi con ampia e stabile base parlamentare, come vagheg­gia la nuova direzione di Repubblica voluta dagli Agnelli. Tuttavia, nelle condizioni date non è una soluzione disponibile. La fragilità del quadro poli­tico complica la linea Bonomi.
Ma c'è una seconda preoccupazione di Confindustria, che convive contrad­dittoriamente coi suoi piani di guerra. Il timore di un conflitto sociale. Da tempo lo spettro della “rivolta sociale” inquieta l'immaginario della borghe­sia. I padroni hanno la misura della profondità della crisi italiana. Sentono lo smottamento sociale di ampi settori di piccola borghesia condannati alla rovina. Sanno che milioni di salariati saranno investiti da una valanga, che gli ammortizzatori sono precari, che i costi del debito pubblico da accollare ai salariati saranno imponenti. Reggerà la società italiana a una prova così
 impegnativa, in un quadro politico e istituzionale tanto fragile? Questo è l'interrogativo su cui si esercitano da tempo gli ambienti della borghe­sia liberale.
Gli scioperi operai del mese di marzo hanno scosso gli industriali, persino al di là della loro oggettiva portata. Perché hanno materializzato il rischio di una frattura sociale ingovernabile. La reazione padronale a questo rischio non è stata la rottura col sindacato e la CGIL, ma l'opposto. La ricerca dell'accordo con la burocrazia, del suo coinvolgimento, della sua compromis­sione nello spegnimento del conflitto. I protocolli d'accordo tra padroni e burocrati sulla sicurezza nei luoghi di lavoro sono fatti di cartapesta ma hanno un grande significato poli­tico. Stanno a dire che il padronato vuole coprirsi le spalle nelle fabbriche usando il sindacato come ammortiz­zatore. La linea della FCA, che dopo dieci anni riabilita la FIOM coinvol­gendola nella gestione della ripresa produttiva, è al riguardo emblematica.
Proprio perché è sospinto dalla profon­dità della crisi a un salto obiettivo della propria offensiva, il padronato chiede alla burocrazia sindacale di sminare preventivamente il terreno. E la buro­crazia sindacale risponde. “Occorre evitare che la paura dei lavoratori si trasformi in rabbia”: questa frase di Maurizio Landini riassume con straor­dinaria efficacia la politica della buro­crazia. Il gruppo dirigente della CGIL si candida a controllore del conflitto sociale agli occhi del padronato.
L'enfasi posta nei protocolli d'intesa è la valorizzazione del proprio ruolo di burocrazia. “In questa grande crisi è vostro interesse collaborare con noi, perché solo noi possiamo offrirvi la pace sociale”: questa è la risposta della direzione sindacale alle preoccu­pazioni padronali. La paura di essere scaricati dai padroni rimpiazza la difesa dei lavoratori.
Il risultato di questa politica è uno solo: incoraggia i padroni a proseguire la propria offensiva. La burocrazia smina il terreno, l'offensiva padronale avanza.
L'assenso pubblico di Landini a un decreto governativo che taglia l'IRAP, cioè il principale sostegno fiscale alla sanità, è solo un risvolto penoso di una politica generale: mostrare un volto disponibile e accomodante per dire al padronato che con la CGIL ci si può intendere. Il risultato è che ora i padroni non solo ignorano le piattaforme contrattuali di milioni di lavoratori, ma mettono in discussione una volta di più la stessa cornice del contratto nazio­nale. Il passo del gambero di Landini sospinge il passo di carica dei padroni.
I lavoratori sono abbandonati dai propri stati maggiori alla paura di una crisi terribile e al salto della offensiva padronale.
Il tutto senza una piattaforma di rife­rimento, senza una linea di mobilita­zione e resistenza.
Costruire una direzione alternativa del movimento operaio, politica e sinda­cale, è più che mai all'ordine del giorno.

mercoledì 20 maggio 2020

È USCITO IL NUOVO NUMERO DI UNITÀ DI CLASSE NR4 MAGGIO/GIUGNO

In questo numero:


Il passo di carica di Confindustria e il passo del gambero di Landini - Editoriale di Marco Ferrando

Il sindacato di base e classista alla prova del Covid-19 - Federico Bacchiocchi

8 maggio 2020: il possibile primo tassello di un percorso - Massimo Betti

MES e Recovery Fund - Marco Ferrando

Emergenza sanitaria ed emergenza ambientale - Luca Gagliano

Il diritto allo studio ai tempi del coronavirus - Alessio Ercoletti

Cina. Un sindacato in lockdown - China Labour Bulletin

"Prima gli svizzeri": quando quelli da cacciare erano gli italiani - Piero Nobili






martedì 19 maggio 2020

LA LINKE SI OFFRE ALLA SPD PER GOVERNARE LA GERMANIA

Il Partito della Sinistra Europea ammaliato dal governo

La questione del governo è superata nel confronto a sinistra? Argomento del passato? I casi di Syriza, Bloco de Esquerda, Podemos e ora anche la Linke dimostrano il contrario




La Linke tedesca, partito centrale del Partito della Sinistra Europea, si candida al governo della Germania. I due cosegretari della Linke, Katja Kipping e Bernd Riexinger, hanno ufficialmente proposto alla SPD e ai Verdi di proiettare sul piano nazionale le comuni (accidentate) esperienze di amministrazione locale di Berlino e Turingia.

«Il coronavirus ci ha posto di fronte a clamorosi sconvolgimenti economici e feroci lotte per la distribuzione delle risorse. Le richieste politiche dell’intero arco della sinistra ci impongono una presa di posizione coraggiosa e un approccio comune. [...] I governi statali in cui la sinistra è attualmente coinvolta dimostrano la sostanziale differenza sociale e democratica dei partiti progressisti quando governano insieme. Adesso è importante unire le forze e impegnarsi nel cambio di direzione.»

A dire il vero i governi statali in cui la sinistra è coinvolta mostrano l'esatto opposto. Prima il governo Prodi, poi il governo Tsipras, poi il governo portoghese di Costa, e oggi il governo Sanchez-Iglesias dimostrano il «sostanziale» fatto che il coinvolgimento della sinistra nelle responsabilità del governo del capitale, in alleanza coi partiti borghesi o con la socialdemocrazia liberale, si realizza nella continuità delle politiche capitaliste. Ed anzi ha proprio la funzione di coprire a sinistra quelle politiche. Con pessimi risultati per il movimento operaio ed effetti più o meno distruttivi per la stessa sinistra di governo. Rifondazione Comunista ne sa qualcosa. Per quale ragione dovrebbe avvenire diversamente nel cuore del capitalismo europeo, a braccetto di una socialdemocrazia tedesca oggi al governo con Angela Merkel e la CDU?

Ma tant'è. Il gruppo dirigente di Linke ha fretta di offrire a SPD la dote dell'8% che le assegnano i sondaggi. Tra un anno si vota in Germania, entrare al governo è l'occasione della vita per chi non ha altro orizzonte che amministrare la società borghese.
In realtà all'interno della Linke vi sono forti dissensi e resistenze nei confronti di questa prospettiva, ma l'appello all'unità del partito da parte dei suoi segretari serve esattamente a rimuoverle.

Dopo il Bloco e il PCP portoghesi, dopo Podemos, anche la Linke si candida ufficialmente al governo del capitalismo. In questo caso della Germania, il principale paese imperialista del vecchio continente. Un paese in cui la sinistra di governo ha prodotto nella storia immani disastri, a vantaggio delle destre peggiori, come un secolo fa. Certo, si può obiettare che una volta fu tragedia ed oggi farsa. Ma la farsa può farsi tragedia molto in fretta. Già la destra di AfD denuncia la capitolazione al sistema della Linke e i suoi appetiti ministeriali. E siamo solo all'inizio.

La salvaguardia e lo sviluppo di una opposizione di classe ai governi della borghesia, il rifiuto di una compromissione nelle politiche dominanti, non è solo una necessità elementare per la difesa dei lavoratori, ma anche uno strumento di lotta alla reazione e alla sua demagogia tra gli sfruttati.
In ogni caso, dopo la vicenda di Syriza, dopo l'approdo governativo di Podemos, dopo la candidatura di governo della Linke, nessuno potrà più dire che la questione del governo è uscita dall'agenda del confronto a sinistra. Ieri come oggi, è e resta un tema strategico che fa da spartiacque tra riformismo e marxismo rivoluzionario.

Partito Comunista dei Lavoratori



lunedì 18 maggio 2020

FIAT MUNDI

FCA, il governo Conte, la burocrazia sindacale





L'affare è di dominio pubblico: FCA chiede la copertura pubblica di 6,5 miliardi di credito bancario. Banca Intesa si mostra disponibile alla condizione di avere le spalle coperte dallo Stato. Il governo Conte offre alla banca le garanzie pubbliche richieste. In parole povere, se la FIAT non dovesse ripagare il debito alla banca, ci penserebbe lo Stato prendendo i soldi dalla fiscalità generale, quella che si regge per l'80% sui lavoratori salariati: soldi presi dalle tasche dei lavoratori, dai servizi pubblici, dalle spese sociali. Per di più per pagare un'azienda che per la sola fusione programmata con Peugeot conta su un utile netto di oltre 5 miliardi da distribuire agli azionisti.

L'operazione è talmente spudorata che la stessa stampa borghese non sa bene come presentarla. A maggior ragione Repubblica, oggi diretta dagli Agnelli. Così qualche opinionista illustre si affanna a spiegare che si tratta solo di una copertura giuridica formale, e che lo Stato in realtà non spenderà nulla. Ah sì? Vallo a spiegare a Banca Intesa. I banchieri sanno far di conto. L'automobile era già in sovrapproduzione prima della pandemia, oggi il mercato dell'auto è crollato dell'80%, come non si ricorda a memoria d'uomo. Per questo FCA chiede il soccorso bancario. Perché sa che la ripresa produttiva potrebbe in realtà combinarsi con una precipitazione ulteriore della crisi. Bene, ci pensa lo Stato! Lo Stato garantisce FCA sulla copertura bancaria, e protegge la banca dai rischi di FCA. È lo Stato dei capitalisti, come spiegava Marx, e svolge diligentemente il proprio ruolo.

Non solo. Il Presidente del Consiglio nella conferenza stampa di ieri è incappato in una domanda tanto elementare quanto insidiosa: “Darete 6,5 miliardi a un'azienda che ha la sede fiscale in Olanda?”. Il Presidente del Consiglio ha dato il meglio di sé rispondendo così: “Nel caso di FCA stiamo parlando, al di là della capogruppo, di fabbriche italiane, che occupano moltissimi lavoratori italiani. Il problema è semmai il dumping fiscale, un problema che affronteremo per non lasciare ad altri gli attuali privilegi”. Traduzione: FCA ha la sede legale in Olanda e Gran Bretagna perché lì paga tasse più basse che in Italia. Bisognerà quindi ridurre le tasse per i capitalisti in Italia in modo che non debbano andare in Gran Bretagna e in Olanda. È la politica di concorrenza tra gli stati capitalisti nella stessa fraterna Unione Europea per contendersi gli investimenti. Chi offre di più ai capitalisti? La gara è aperta, come in qualsiasi asta pubblica. Naturalmente, meno tasse pagano i capitalisti in questa corsa al ribasso, più si tagliano i servizi sociali e più lo stato si indebita con le banche chiedendo poi ai salariati di pagare il conto. La trattativa tra governo e gruppi capitalisti va dunque al di là del prestito a FCA.

Ma il quadro non sarebbe completo se non si parlasse del sindacato. La burocrazia sindacale si spella le mani nell'applaudire i 6 miliardi a FCA. E non solo i vertici di CISL e UIL, ma anche i dirigenti della CGIL e della FIOM. “Con il prestito a FCA il governo potrà cogestire il futuro”: così il Manifesto titola un'intervista rilasciata da Michele De Palma, segretario nazionale FIOM responsabile del settore automotive. Il quale parla di un reciproco riconoscimento tra FCA e FIOM all'interno della fabbrica, all'insegna – questo è il suo auspicio – di una cogestione alla tedesca. Tradotto: la CGIL mette una buona parola presso il governo per i 6,5 miliardi a FCA, basta che FCA non scarichi la CGIL.

L'unità nazionale tra governo, padroni, banchieri e burocrati viene dunque celebrata nel nome della FIAT. Corriere della sera (di Banca Intesa) e Repubblica (di FCA) dispensano incenso.
Questa è la democrazia borghese: “un paradiso per i ricchi, una trappola e un inganno per gli sfruttati” (Lenin).


Partito Comunista dei Lavoratori