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venerdì 30 agosto 2019

UN PRESIDENTE PER TUTTE LE STAGIONI

LA COMMEDIA SEMISERIA DELLA POLITICA BORGHESE





Il trasformismo politico contro ogni senso del pudore: il discorso odierno del Presidente del Consiglio incaricato è nel suo genere un manifesto letterario.
Il Presidente incaricato Giuseppe Conte si offre per ogni stagione. L'anno scorso si presentò come il presidente “del cambiamento”, oggi come il presidente "della novità”. Di nuovo non c'è dunque nulla se non il cambio della maggioranza per cui si candida. L'importante è restare «l'avvocato del popolo», semmai cambia il popolo che l'avvocato difende. Sino a un paio di settimane fa Conte faceva l'avvocato della Lega (e avrebbe continuato ancora a lungo), mettendo il suo timbro sull'affogamento dei migranti o sulla galera per i manifestanti (decreto sicurezza bis). Poi Salvini l'ha scaricato puntando al voto, e allora l'avvocato cambia cliente. «Non rinnega» il vecchio cliente (non si sa mai, per il futuro...), si candida semplicemente ad assisterne un altro, il PD. Il nuovo cliente non ha grandi pretese, non gli par vero di tornare al governo dopo un anno di sofferto digiuno. In più porta in dote la nomenclatura dei poteri forti, la rappresentanza del grande capitale, il plauso dei mercati e delle cancellerie europee. Può l'avvocato del popolo resistere a tanta grazia? Non può. Deve solo imparare la parte in commedia richiesta dal nuovo assistito. Democrazia, Giustizia, Uguaglianza, Solidarietà, assieme alla tutela dell'Ambiente e all'immancabile Pace nel mondo... il nuovo vocabolario è recitato con l'aria compunta di un dichiarato seguace di Padre Pio: pace e bene, non c'è altro. E tuttavia spicca la gentilezza della posa, l'eleganza dell'abito, la compostezza dell'incedere, assieme alla furbizia sorniona dello sguardo. Così, almeno, dicono i sondaggi di popolarità. Il nuovo cliente (PD) aveva qualche dubbio, ma si è convinto che è l'avvocato giusto per incantare il suo popolo.
Un problema lo pone invece l'altro cliente assistito, il M5S. Il M5S faceva parte della vecchia clientela dell'avvocato, anzi ne decretò la fortuna quando Conte ancora non era nessuno. Di più: l'avvocato fu proprio l'invenzione del vecchio cliente (Di Maio), che pensò di usarlo a difesa delle proprie cause e come paravento (provvisorio) delle proprie ambizioni. Ma il vecchio cliente non poteva prevedere che l'avvocato si sarebbe messo in proprio, avvantaggiandosi delle sue disgrazie, e minacciando persino di rimpiazzarlo alla testa della sua azienda a Cinque Stelle. Tanto meno poteva pensare al tradimento dell'avvocato. È l'avvocato che nel discorso contro Salvini al Senato si è offerto di fatto al nuovo cliente PD; è l'avvocato che dal G7 a Biarritz ha definitivamente sbarrato la strada al ritorno di Di Maio con la Lega (e alla presidenza del Consiglio offerta a Di Maio da Salvini); ed è l'avvocato che oggi (pare) si permette di rifiutare a Di Maio la vicepresidenza del Consiglio, precipitando ingrato la sua caduta politica. No, questo il vecchio cliente non lo aveva previsto. E per lui la pena più grande è dover far buon viso a cattivo gioco, dover presentare come successo la propria sconfitta, e persino confezionare il (solito) quesito truffa sulla piattaforma Rousseau (“Volete o no la giustizia?” o similia) per incoronare il traditore e celebrare il suo successo.
Questa è la miseria della politica borghese, e il biglietto da visita del nuovo governo. Un comitato d'affari del capitale popolato da saltimbanchi gli uni contro gli altri armati, in una guerra che attraversa gli stessi partiti, sospinta da una logica di clan e di ambizioni personali (Renzi nel PD, Di Battista nel M5S...), priva di ogni parvenza, anche solo parvenza, di nobiltà.
Se oggi un avvocato del nulla fa il Presidente del Consiglio è solo perché ha saputo destreggiarsi in questa guerra, usando le debolezze di tutti in funzione della propria carriera. Si potrebbe persino sorriderne, ma non è il caso. Perché il trasformismo è un fattore politico serio della vicenda italiana. Serve a ingannare gli sfruttati, perché nasconde loro la realtà dietro il sipario della finzione scenica. Ma serve anche, per contrasto, alle mire della destra.

Il copione dei ruoli è già scritto. La destra reazionaria di Salvini e Meloni userà la denuncia demagogica del trasformismo PD-M5S (i “poltronari”) per costruire nelle piazze la propria opposizione. Il governo PD-M5S userà l'opposizione reazionaria per subordinare le sinistre al proprio carro. Le sinistre che appoggeranno il governo non solo saranno partecipi del trasformismo, ma aiuteranno con questo la demagogia reazionaria, che già si è nutrita per anni delle politiche del PD e della subalternità delle sinistre, e che oggi non attende di meglio che presentarsi in piazza come l'unica opposizione. Per questo preparare e costruire l'opposizione al nuovo governo dal versante del lavoro non è solo la difesa dei suoi interessi di classe indipendenti, ma è anche l'unica via per sbarrare il passo alla reazione, per levare a Salvini lo spazio della rivincita.

Partito Comunista dei Lavoratori

martedì 27 agosto 2019

«MARXISTI» PER CONTE PREMIER



«Marxisti per Conte: da D’Alema al PRC, la sinistra che vuole baciare il rospo». Così titola oggi il quotidiano La Repubblica, in relazione all'annunciato governo PD-M5S. Non esagera, e il fatto è clamoroso. Sinistra Italiana e PRC, in forme diverse, rivendicano la formazione del nuovo governo e auspicano l'eventuale presidenza Conte, in oggettiva compagnia di ampi settori di Confindustria, del Vaticano, di Comunione e Liberazione, della burocrazia sindacale. È triste, ma è la realtà. 

SINISTRA ITALIANA PRENOTA UN POSTO AL GOVERNO (O NEL SOTTOGOVERNO) 

La Direzione Nazionale di Sinistra Italiana ha così deciso lo scorso sabato, con 60 voti a favore e un solo contrario. «Siamo di fronte alla possibilità di una vera svolta... È possibile un limpido accordo tra sinistra, PD, M5S per la formazione del nuovo governo... Siamo ottimisti... L'agenda che si va definendo rompe col renzismo e Salvini», dichiara enfaticamente la risoluzione approvata. Si dà pertanto mandato a Loredana De Petris e a Nicola Fratoianni di negoziare il “governo di svolta”.
C'è davvero da stropicciarsi gli occhi. Il M5S ha governato con la Lega sino a poche settimane fa, e avrebbe continuato per altri tre anni se non fosse stato scaricato da Salvini: ha votato senza fiatare tutte le misure più reazionarie contro gli immigrati e contro le lotte dei lavoratori (decreto sicurezza bis), ha gestito in prima persona le campagne securitarie contro i “taxi del mare” (Di Maio). Si è rivelato una volta di più per quello che è: un partito di vocazione reazionaria, buono per tutte le stagioni. Non “uno vale uno”, ma uno vale l'altro, l'importante è la propria salvezza istituzionale (nel loro linguaggio, “le poltrone”). Il PD è il punto di riferimento dei poteri forti, il partito che più di ogni altro ha scardinato i diritti del lavoro (art.18), ha colpito la scuola pubblica (Buona scuola), ha cogestito la secessione dei ricchi (Emilia-Romagna), ha promosso in prima persona la segregazione dei migranti in Libia (Minniti) concimando il peggiore terreno della destra. E ora, in pochi giorni, PD e M5S sarebbero diventati i garanti di una svolta storica?
La presunta rottura col renzismo e con Salvini è aria fritta, persino formalmente. Giuseppe Conte, candidato premier per ogni governo, ha detto in queste ore che non rinnega il governo con Salvini, né lo hanno fatto i Cinque Stelle. Quanto ai renziani, sono i principali sponsorizzatori del nuovo governo e parte decisiva dei gruppi parlamentari che gli voteranno la fiducia. Dov'è la rottura?
Naturalmente il nuovo governo farà un po' di maquillage, limerà i decreti più impresentabili (ma non più di tanto), venderà come “svolta” ogni mutamento di virgola, confezionerà il tutto con toni aulici e profetici. Ma solo per nascondere una politica di conservazione sociale su tutte le questioni decisive. A questo serve la stessa fumosità dell'agenda, dalla “tutela dell'ambiente” alla “pace nel mondo” ai “valori” della democrazia. E questo dimostra lo stesso documento della Direzione di Sinistra Italiana, che non a caso si guarda bene dal rivendicare, ad esempio, come condizione dell'accordo, la semplice abrogazione del Jobs act, della Buona scuola, della legge Fornero, chiamandole con nome e cognome. Perché sa che l'accordo di governo con PD e M5S richiede la rinuncia persino alle misure più elementari di svolta, e ciò che conta per Sinistra Italiana, al di là delle chiacchiere, non è “la svolta” ma il rientro sospirato nel gioco politico di governo, meglio con qualche sottosegretariato. Questa è la prosa, per la poesia c'è sempre tempo. 

RIFONDAZIONE COMUNISTA INVOCA IL GOVERNO PD-M5S 

Anche Maurizio Acerbo insiste da quindici giorni sulla rivendicazione di un governo tra PD e M5S, con accorati appelli pubblici, quasi giornalieri. Tutta l'argomentazione muove dall'esigenza di “mettere Salvini all'opposizione”. Cosa naturalmente giusta, ma ad una condizione: non lasciare il monopolio della opposizione... a Salvini. E dunque denunciare la natura trasformista del nuovo governo e dei suoi attori, spiegare la sua natura di classe, combattere l'eterna illusione di un possibile governo amico, contrastare la subordinazione annunciata al nuovo governo della burocrazia sindacale.
Purtroppo il segretario del PRC fa l'opposto. Qua e là dichiara le proprie “divergenze programmatiche e di visione” con PD e M5S (come se si trattasse di un confronto politico-culturale, e non di una opposta collocazione di classe), ma al centro di tutto pone l'appello a PD e M5S perché facciano un governo insieme («è loro dovere di fronte al paese e alla storia»), rivendica apertamente Conte presidente del Consiglio («Il veto su Conte è assurdo, perché l'avvocato comunque è più solido di Di Maio o Fico»), loda Maurizio Landini per il suo sostegno all'operazione («ho apprezzato le parole di Landini perché ha dimostrato autonomia», non si capisce francamente da chi).
Tutto questo non segna una collocazione di opposizione, ma tutt'al più di pressione critica sul nuovo governo. Al quale Acerbo raccomanda una solo misura decisiva: la riforma della legge elettorale in senso proporzionale. Che naturalmente sarebbe importante in sé, ma non definisce affatto la natura di classe del governo che eventualmente la vara. E qui torniamo al punto. I comunisti sono per definizione, come diceva la grande Rosa Luxemburg, un partito di opposizione irriducibile a tutti i governi del capitale. Rimuovere in tutto o in parte questo principio elementare significa solo preparare disastri per i lavoratori, per i comunisti e per le stesse ragioni della democrazia politica, come dimostra la lunga storia dei fronti popolari di staliniana memoria. Farlo, per di più, di fronte a un governo PD-M5S, dopo l'esperienza degli ultimi vent'anni, è davvero un'enormità, che persino i giornalisti borghesi sono costretti a segnalare con una certa incredulità.
Vedremo gli sbocchi del negoziato di governo, ormai in pieno corso. Ma quello che oggi si annuncia è il ritorno della sinistra cosiddetta radicale nel governo della borghesia, o nella sua orbita.
Una volta fu Romano Prodi, con la partecipazione suicida della grande (all'epoca) Rifondazione, oggi forse è Giuseppe Conte con la raccomandazione di ciò che è sopravvissuto a quel suicidio. Col risultato di regalare proprio a Salvini, il peggiore degli arnesi reazionari, la rendita di posizione di unico avversario del governo.
La storia si ripete, e non certo in meglio. Il M5S non sarebbe nato senza l'autodistruzione di Rifondazione tra le braccia di Prodi, né Salvini avrebbe il consenso che ha tra gli operai senza le compromissioni della sinistra politica e sindacale nell'austerità. Ogni volta che si è fatto il “fronte democratico contro la destra” è proprio la destra che ha sfondato. Non è bastata la lezione dei fatti? Si vuole ogni volta ricominciare da capo?


Partito Comunista dei Lavoratori

venerdì 23 agosto 2019

LA CRISI POLITICA A UN PASSAGGIO CRUCIALE. VERSO UN GOVERNO PD-M5S?



La crisi politica aperta da Matteo Salvini è giunta a un passaggio cruciale.
La dinamica della crisi è ormai scoperta. Salvini ha rotto col M5S, dietro la rassicurazione fornitagli da Zingaretti che il PD gli avrebbe fatto sponda. E Zingaretti avrebbe fatto volentieri sponda a Salvini nella corsa alle elezioni per cambiare i gruppi parlamentari del PD, oggi a trazione renziana. 

Ma qui ha fatto irruzione la più imprevedibile delle variabili: il capovolgimento di posizione da parte di Renzi verso l'accordo di governo col M5S, in funzione della salvaguardia dei “propri” gruppi parlamentari e della conquista di tempo prezioso per costruire il proprio partito. Questo clamoroso fatto politico ha mutato lo scenario della crisi, aprendo la possibilità reale di un governo PD-M5S; possibilità sdoganata parallelamente da Casaleggio e Grillo, entrati direttamente in scena. 

È presto per dire se questa soluzione decollerà e giungerà al suo approdo. Restano sul campo diversi scogli: i tempi stretti richiesti dal Quirinale, al fine di evitare l'esercizio provvisorio del bilancio; il difficile punto di equilibrio tra PD e M5S nella ricerca della soluzione di premiership e composizione ministeriale (tra richiesta della presidenza Conte da parte del M5S e la sua difficile accettazione da parte del PD); i diversi interessi politici di Zingaretti e Di Maio impegnati in prima persona nella trattativa e al tempo stesso paradossalmente possibili vittime del suo successo nei rispettivi campi (finendo entrambi in quel caso sub iudice dei renziani, determinanti nella eventuale maggioranza parlamentare). 

L'unica cosa certa è che non esiste alcun ostacolo programmatico dirimente tra le due forze politiche in questione. Le cosiddette "cinque condizioni” poste da Zingaretti alla base del negoziato, nella loro indeterminata fumosità, sono emblematiche. Come è significativo il giudizio positivo immediatamente fornito dal M5S sulle condizioni del PD. 

È naturale: il PD è il principale partito dell'establishment, legato organicamente a doppio filo al grande capitale, agli ambienti UE, all'alta burocrazia statale. Il suo insperato approdo di governo sarebbe un'occasione decisiva per recuperare la rappresentanza diretta dei poteri forti, nel segno di una “normale” governabilità di sistema. Sull'altro versante, il M5S ha come scopo principale la propria sopravvivenza politica e istituzionale. 

La ricomposizione di governo col PD, un anno fa bloccata da Renzi ed oggi liberata proprio da Renzi, sarebbe l'occasione di una definitiva legittimazione agli occhi dell'establishment nazionale ed europeo. Il recente ingresso del M5S nella cosiddetta "maggioranza Ursula" a livello UE va nella stessa direzione. 

Altro che “governo di svolta", come lo chiama Zingaretti! Basterebbe il richiamo esplicito tra le sue condizioni a “solidarietà, legalità, sicurezza” nella gestione dell'immigrazione per capire che persino sul terreno democratico più elementare si ripartirà da Minniti, che il Fatto Quotidiano oggi reclama a gran voce (non a caso) come futuro ministro dell'interno. 

Certo, la formazione di un governo PD-M5S bloccherebbe temporaneamente la corsa di Salvini alle urne. Ma al tempo stesso gli fornirebbe la rendita dell'unica opposizione al governo "dell'inciucio”, lungo la linea di una campagna già iniziata in queste ore, col rischio di creare le condizioni di un consolidamento del suo blocco sociale reazionario. 

Per tutto questo il pubblico sostegno di Sinistra Italiana e del Partito della Rifondazione Comunista alla prospettiva di un governo PD-M5S non è solo l'ennesimo appoggio a una soluzione borghese di governo che subordina i lavoratori e le lavoratrici agli interessi sociali dei loro avversari, ma è anche un disarmo del movimento operaio nella contrapposizione alla reazione. Tanto più grave a fronte dello sfondamento del salvinismo tra i lavoratori salariati nell'ultimo anno. 

Solo una linea di opposizione di classe a tutti i governi del capitale, solo il rilancio di una mobilitazione di massa attorno a un programma di rivendicazioni sociali unificanti possono disgregare i blocchi sociali reazionari e sgombrare la via di un'alternativa vera. 
Ogni altra politica ripercorre sentieri già battuti e già falliti: un disastro per i lavoratori e le sinistre.


Marco Ferrando

giovedì 15 agosto 2019

LANDINI, FURLAN, BARBAGALLO... COSÌ È SE VI PARE



Mentre la crisi di governo si aggroviglia, la burocrazia sindacale piatisce una sponda politico istituzionale purchessia.
Nessuna piattaforma di lotta, nessuna rivendicazione chiara, nessuna linea di demarcazione di classe. Ma una lunga nota unitaria targata CGIL CISL UIL (13 agosto) con la quale i dirigenti sindacali esprimono «preoccupazione per la situazione di instabilità politica».

Curioso. In un anno di governo “stabile” guidato da Salvini e Di Maio, le direzioni sindacali hanno fatto tappezzeria, tra balbettii, connivenze (Ilva), critiche di velluto, con l'unica preoccupazione di ottenere la propria legittimazione presso il governo. Al punto di accorrere incredibilmente all'invito politico di Salvini, nelle vesti di segretario della Lega, presso le sale del Viminale. E già prima, di magnificare l'accordo Ilva, a vantaggio di Di Maio, e di revocare uno sciopero della scuola, già convocato, col pubblico ringraziamento del ministro leghista dell'istruzione.

Ora, dopo che questa linea subalterna ha ingrassato il consenso attorno a Salvini presso milioni di salariati, consentendogli di invocare pieni poteri, le burocrazie sindacali, spaventate, manifestano «preoccupazione», chiedono un «un governo nel pieno delle sue funzioni», dichiarano «sostegno incondizionato» a Mattarella, individuato al solito come figura salvifica. Ma i governi “nel pieno delle loro funzioni” (Prodi, Berlusconi, Monti, Renzi, Letta, Gentiloni, Conte) sono quelli che negli ultimi tredici anni hanno colpito il lavoro, hanno privatizzato, hanno tagliato la sanità e la scuola, per tutelare i profitti degli industriali e delle banche, col sostegno attivo (Napolitano) o passivo (Mattarella) dei Presidenti della Repubblica (...e la complicità dei sindacati). La “piena funzione” dei governi è quella di comitati d'affari dei capitalisti. La “piena funzione” dei sindacati dovrebbe essere quella di difendere i lavoratori, non di augurarsi governi “stabili” dei loro avversari.

Ma il contorsionismo della nota confederale va più in là. Siccome non è chiaro quale sarà lo sbocco politico della crisi in corso, la nota di CGIL CISL UIL si premura di risultare equanime e sibillina, all'insegna del “così è se vi pare”. Da un lato biasima l'instabilità e chi l'ha provocata, fornendo sponda a PD e M5S e alla possibile formazione di un loro governo (che in realtà fornirebbe nuovo grasso alla crescita di Salvini). Ma dall'altro, per paura di precludersi rapporti futuri, evita di chiamare per nome il progetto reazionario del “capitano”, e si limita a richiedere «una indispensabile forma di governo» e «in tempi utili».
L'importante insomma è un governo a breve purchessia con cui interloquire. Su tutto infatti primeggia l'unica vera rivendicazione incondizionata: «il coinvolgimento delle parti sociali» nella «definizione della prossima legge di stabilità» per «contribuire a delineare nuove politiche europee che escano dalla logica dell'austerità» (formulazione retorica vuota che potrebbero sottoscrivere tutti, europeisti borghesi e sovranisti).
La verità è che la sola bussola della burocrazia sindacale è proteggere il proprio patto sociale con Confindustria, mettendolo al riparo della crisi politica. Quale che sia il futuro governo, l'essenziale sarà sedere al suo tavolo in compagnia degli industriali attorno a richieste comuni: innanzitutto la riduzione del cuneo fiscale (a carico dell'erario pubblico e/o delle pensioni future, dunque dei lavoratori) e le grandi opere infrastrutturali, TAV in primis.

Per 17 milioni di lavoratori salariati nessuna rivendicazione e prospettiva autonoma. Chi può meravigliarsi se Salvini pascola liberamente nel nostro campo sociale?


Partito Comunista dei Lavoratori

domenica 11 agosto 2019

LA CRISI DEL GOVERNO CONTE. PER UN'ALTERNATIVA DI CLASSE CONTRO LA DESTRA



«Chiedo al popolo italiano pieni poteri». Il ministro degli interni più reazionario del dopoguerra svela il proprio progetto bonapartista. Non il fascismo, ma neppure un ordinario centrodestra in una normale logica di alternanza. Il progetto di Salvini è quello di un regime Orban all'italiana, fondato su un blocco sociale nazionalpopolare e sulla concentrazione dei poteri nelle mani dell'esecutivo. È nel nome di questo progetto che il ministro degli interni ha operato lungo l'arco di un anno, tra strette forcaiole contro i migranti, demagogie reazionarie sull'ordine pubblico, invocazione di rosari e Madonne, con la piena complicità del M5S. È nel nome di questo progetto che Salvini ha aperto la crisi del governo Conte, rompendo con M5S.


I FATTORI DELLA CRISI POLITICA

Il governo M5S-Lega era minato sin dalle origini dalla natura plebiscitaria del progetto salviniano, oltre che dalla contraddizione tra i blocchi sociali delle due destre che lo componevano. Il ribaltamento dei rapporti di forza tra Lega e M5S, certificato dal voto europeo, ha precipitato questa contraddizione. L'iniziativa di rottura da parte di Salvini si pone in questo quadro. Diversi fattori combinati hanno spinto in questa direzione: le pressioni dei potentati leghisti del Nord, già da tempo insofferenti verso l'alleanza col M5S e interessati al bottino pieno sulle “autonomie”; la volontà di Salvini di capitalizzare il consenso indicato dai sondaggi prima di intestarsi una legge di stabilità ad alto rischio, combinata col timore di trovarsi intrappolato nelle conseguenze istituzionali della riduzione del numero dei parlamentari, cioè in un altro anno di governo col M5S senza disporre di vie d'uscita (e dunque oltretutto con un potere contrattuale dimezzato). Infine la paura che le inchieste giudiziarie (Russiagate) potessero azzopparlo in mezzo al guado. In una parola, Salvini rompe oggi per paura di non poterlo fare domani, o di doverlo fare in condizioni peggiori.

La mossa è audace ma non è priva di razionalità. Salvini va all'affondo nel momento della massima crisi di tutti gli altri partiti. Forza Italia è di fronte al proprio cupio dissolvi. Il M5S lambisce una crisi potenzialmente esplosiva. Il PD è percorso da una linea multipla di frattura interna e dal rischio di una nuova possibile scissione (renziana). La sinistra politica è al punto più basso della propria parabola storica, per responsabilità dei suoi gruppi dirigenti. La crescita impetuosa della nuova Lega nazionale è stata ad un tempo un fattore propulsivo di questo scenario e il suo massimo beneficiario. Salvini vuole semplicemente portarla all'incasso.


LE VARIABILI DELLA CRISI

Gli sviluppi della crisi politica hanno diverse variabili. Il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, in accordo col M5S, vuole un dibattito parlamentare prima di rassegnare le dimissioni. L'obiettivo è scaricare su Salvini la responsabilità pubblica della rottura per zavorrare il suo slancio, ed anche ritagliare per sé il ruolo di argine istituzionale, quale futura possibile riserva della Repubblica. La presidenza della Repubblica, a sua volta, ha concordato con Conte il passaggio parlamentare della crisi. L'obiettivo di Mattarella è evitare che Salvini possa gestire da ministro degli interni le future elezioni, fosse pure in un ruolo di amministratore degli affari correnti. Da qui l'idea di un governo di garanzia elettorale, affidato a personalità estranee ai partiti, anche privo di maggioranza parlamentare. Una ipotesi complicata, ma non preclusa.

In ogni caso, nell'attuale Parlamento altri governi politicamente in grado di sbarrare la via delle urne appaiono decisamente improbabili. Un governo PD-M5S avrebbe una maggioranza parlamentare, ma il M5S non può oggi disporsi ad un'alleanza col PD senza un suicidio definitivo a beneficio di Salvini. E il PD di Zingaretti non può realizzare un blocco di governo col M5S prima del voto senza fornire a Renzi lo spazio politico della agognata scissione. Peraltro Nicola Zingaretti vede proprio nel voto anticipato l'occasione di ridisegnare i gruppi parlamentari del PD, sottraendoli al controllo renziano. Matteo Renzi sembra replicare alla minaccia con la ricerca paradossale di un proprio accordo diretto col M5S capace di scavalcare Zingaretti e di dar vita a un governo-ponte: giusto il tempo necessario per promuovere un proprio partito. Ma le possibilità reali che questa operazione vada in porto sono estremamente limitate, perché la segreteria PD fa barriera e Di Maio ha ancora più difficoltà ad accordarsi con Renzi di quanta ne abbia con Zingaretti. La risultante di questo groviglio è una sola: le elezioni anticipate, a fine ottobre o a inizio novembre, sembrano l'unico possibile sbocco della crisi politica che si è aperta, sia che a gestire l'accesso al voto provveda il governo uscente, sia che provveda un "governo di garanzia elettorale".


LO SCENARIO POSSIBILE DI UNA VITTORIA REAZIONARIA

Vedremo quale sarà l'assetto degli schieramenti politici che si presenteranno alle elezioni. La legge elettorale resterà verosimilmente invariata. In questo quadro una scelta di corsa solitaria per Salvini sarebbe rischiosa per il “capitano”. Salvini ha bisogno di conseguire una maggioranza assoluta dei seggi in Camera e Senato, e difficilmente può conseguire l'obiettivo senza alleanze. L'alleanza con Fratelli d'Italia appare probabile, e (persino) quella con Forza Italia non è esclusa. Un simile schieramento potrebbe certo conseguire il risultato atteso. Il M5S è forse in grado di ricomporre le sue sparse membra in occasione del voto, ma la figura di Di Maio è compromessa in termini di credibilità. Il PD cercherà di riaggregare attorno a sé un'alleanza di centrosinistra, più o meno variopinta, ma senza realistiche possibilità di successo. A parità di condizioni si profila dunque all'orizzonte la possibile vittoria elettorale di un blocco reazionario a egemonia salviniana.

Naturalmente non tutto è deciso. Fatti politici imprevedibili oggi possono sempre giocare un ruolo. Un'eventuale candidatura di Conte per conto del M5S potrebbe ad esempio rafforzare quest'ultimo. Una crisi finanziaria, legata a una impennata dei tassi di interesse, con la conseguente svalutazione patrimoniale delle banche, potrebbe spaventare la piccola borghesia e complicare la marcia di Salvini. Ma al netto di queste o altre variabili – che è sempre necessario monitorare – lo scenario di un'affermazione elettorale della destra si delinea come il più probabile.


LE RESPONSABILITÀ POLITICHE DELL'AVANZATA DI SALVINI

Questo scenario viene da lontano. Viene innanzitutto dall'arretramento profondo del movimento operaio, dei suoi livelli di mobilitazione e di coscienza, di cui portano piena responsabilità le burocrazie sindacali, con la loro politica di compromissione col padronato e di svendita degli interessi dei lavoratori. Salvini non avrebbe il consenso che ha tra i salariati se la burocrazia sindacale non avesse avallato la legge Fornero. L'immagine recente di Maurizio Landini premurosamente accorso all'invito del ministro degli interni, per un incontro politico con la Lega ad esclusivo interesse della Lega, dà la misura della psicologia subalterna di una burocrazia che cerca solo la propria legittimazione, da chiunque venga, fosse pure dal peggiore figuro della reazione.

Ma la via del successo di Salvini è stata lastricata anche dai gruppi dirigenti della sinistra politica. Non solo, ovviamente, dal corso populista reazionario di Matteo Renzi e dai successivi governi del PD che hanno tutti concimato il terreno di Salvini (Minniti docet). Ma anche dai gruppi dirigenti di una sinistra cosiddetta radicale che prima hanno distrutto Rifondazione Comunista per conquistare sottosegretariati, ministeri, cariche istituzionali, votando missioni di guerra e regali fiscali ai padroni; e poi si sono spartite le spoglie di un partito distrutto o per negoziare di nuovo col PD (SEL/SI) o per inseguire un progressismo civico privo di qualsiasi valenza di classe con Di Pietro, Ingroia, Barbara Spinelli (PRC). Sino al comune tracollo delle ultime elezioni politiche. Lega e M5S non avrebbero sfondato nel mondo del lavoro se un argine di classe non fosse stato smantellato proprio da chi avrebbe dovuto presidiarlo.


I GRUPPI DIRIGENTI DELLA SINISTRA RIPERCORRONO GLI STESSI SENTIERI?

Il punto è che i gruppi dirigenti della sinistra, non paghi di questo bilancio, sembrano ostinarsi a ripercorrere gli stessi sentieri.

Nicola Fratoianni invoca contro Salvini un ampio fronte democratico col PD liberale, lo stesso che a Salvini ha spianato la strada. Il segretario del PRC Maurizio Acerbo propone al PD e al M5S di fare in questo Parlamento un governo comune in grado di «mettere Salvini all’opposizione», idea peraltro avanzata da tempo da un vasto fronte politico-editoriale liberalprogressista, da Massimo Cacciari alla redazione dell'Espresso, passando per il Fatto Quotidiano di Massimo Travaglio. È una proposta che trascura uno spiacevole dettaglio: un accordo di governo tra PD e M5S potrebbe certo ostacolare la corsa alle urne immediata di Salvini, ma gli fornirebbe una nuova gigantesca mietitura quale unica "opposizione" al sistema. Esattamente il profilo abusivo che Salvini ha costruito negli anni grazie alle svendite – sindacali e politiche – della sinistra.

La verità è che nessun fronte democratico di centrosinistra, tanto più se allargato sulla destra (M5S), può arrestare la marcia reazionaria di Salvini. Può farlo solo il rilancio di un movimento di lotta indipendente del movimento operaio, che unifichi tutte le lotte di resistenza, e ponga una propria agenda di rivendicazioni al centro della scena politica. Un movimento di lotta che rifiuti di subordinarsi all'ennesimo centrosinistra e apra il varco ad un'alternativa anticapitalista.


SOLO LA CLASSE LAVORATRICE PUÒ BATTERE LA DESTRA, IL FRONTE DEMOCRATICO LA NUTRE

A tutti i campioni di realismo politico e istituzionale che da decenni biasimano il nostro “estremismo” classista vorremmo rinfrescare la memoria. È stata sempre la lotta di classe e di massa ad arrestare la reazione, mentre la sua liquidazione l'ha nutrita. Nel 1994 fu il grande sciopero di massa a difesa delle pensioni a fermare il primo governo Berlusconi e a porre le condizioni della sua caduta. Mentre fu la sua liquidazione, nel nome della subordinazione al centrosinistra di Prodi, D'Alema e Amato, a riconsegnare l'Italia a Berlusconi. Fu nuovamente la stagione delle mobilitazioni di massa dei primi anni 2000 (operaie, contro la guerra, no global...) a indebolire e a provocare la caduta del Cavaliere, mentre la svendita di quelle lotte tra le braccia di Prodi ha riconsegnato il paese alla destra.
I fronti democratici con i liberali “contro la destra” hanno sempre spianato la strada alla destra.

Questa è la memoria che oggi va incorporata alla lotta contro il salvinismo. Solo una ripresa di classe può alzare un argine contro la reazione. Solo il rilancio di una mobilitazione di massa indipendente può consentire al movimento operaio di agire come fattore politico, disgregare il blocco sociale reazionario, ricomporre attorno a sé un blocco sociale alternativo.
È la linea di proposta e di intervento del Partito Comunista dei Lavoratori, in ogni lotta e su ogni terreno.


Marco Ferrando