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sabato 29 giugno 2019

LA SQUALLIDA CAMPAGNA SULLA SEA WATCH



Sulla vicenda di 42 migranti sequestrati in mare per quindici giorni dal ministro degli Interni che ne vieta lo sbarco si sta consumando una squallida campagna di opinione.

Il ministro Matteo Salvini grida alla violazione della Legge e del Diritto e invoca l'arresto per l'equipaggio della Sea Watch. Il liberale Corriere della Sera, che pur non è di impostazione governativa, preferisce associarsi alla denuncia di una «manifesta illegalità». Persino il direttore del Fatto Quotidiano, Marco Travaglio, a lungo venerato dalla sinistra riformista, ha riscoperto per l'occasione la propria vocazione giustizialista e manettara, elencando le violazioni di legge da parte della nave, e fornendo al ministro degli Interni un'insospettabile copertura. Per questo campionario di borghesi reazionari o “democratici” la legge diventa il totem cui subordinare ogni principio di giustizia e umanità.

Una vergogna, se solo si parte da dati di fatto incontestabili. I 42 migranti salvati dalla Sea Watch sono fuggiti dalla tortura delle galere libiche, le stesse galere di fatto finanziate dai governi italiani, prima da Minniti poi da Salvini. Nessuno può smentire questa verità. Il governo al-Sarraj, protetto dall'Italia, amministra una parte dei centri di detenzione libici, le milizie private ne gestiscono un'altra parte. La Guardia Costiera libica è legata alle milizie e cogestisce i suoi affari. Le milizie si fanno pagare dalle famiglie dei migranti esibendo i segni delle torture loro inflitte come arma di ricatto. Dopo il pagamento, i migranti partono e la guardia costiera, in cambio di mazzette, punta a riprenderli e a riportarli in galera, dove ricomincia il giro infernale. Altro giro, altre torture, altri soldi. Per tre, quattro, cinque volte. Alcuni migranti della Sea Watch erano partiti più e più volte ripresi dalle stesse canaglie. I “trafficanti di esseri umani” che Salvini denuncia sono gli stessi che lui finanzia ed equipaggia, con tanto di motovedette.

“La Sea Watch ha violato la legge!”. Vero. Ha violato un Decreto sicurezza bis che punta a intimidire e proibire ogni salvataggio in mare che sia sottratto alla Guardia Costiera Libica. Un Decreto sicurezza bis che assegna di fatto al governo libico e ai trafficanti con cui collabora il potere della vita e della morte su decine di migliaia di migranti. Basta che non arrivino sulle nostre coste e Salvini possa lucrare sulla “fine dei flussi”. Ma la riduzione degli arrivi è solo l'altra faccia dell'aumento dei torturati. E dalla tortura si cerca sempre di fuggire, come a volte riescono a fare quelli che scampano alla guardia costiera e ai suoi ripescaggi. La Sea Watch ha semplicemente salvato alcuni di questi. Ha potuto farlo solo addentrandosi nella zona di spettanza libica e solo violando la legge Salvini. Per questo la capitana e il suo equipaggio vanno difesi dalle grinfie del ministro dell'Interno, dei suoi prefetti, di eventuali magistrati compiacenti. E i migranti della nave vanno sbarcati e assistiti, tutti e subito.

Ma in questa vicenda c'è anche altro. L'Unione Europea ha dimostrato una volta di più il proprio volto. Ogni governo gioca a scaricare sui propri alleati il fardello degli immigrati per non perdere consenso interno, restare in sella e poter continuare a rapinare i propri salariati. Lo spettro degli immigrati è infatti agitato non solo dalla canea reazionaria di Salvini e dei suoi amici di cordata, ma anche dai campioni liberali ed europeisti, Macron in testa. Gli accordi di Dublino da tutti firmati, Italia inclusa, non è scandaloso solo perché “grava l'Italia dell'onere dell'accoglienza”, ma perché nega diritti e libertà di migrare in Europa a chi fugge da guerre, fame, torture. Peraltro la stessa Unione Europea che rifiuta la ripartizione dei rifugiati e canali umanitari legali per l'immigrazione, copre il governo italiano e la sua Legge: la sentenza della Corte dei Diritti dell'Uomo di Strasburgo che ha respinto il ricorso della Sea Watch ha solo onorato il principio di complicità con Salvini, in una logica di collaborazione tra briganti. I...“diritti dell'Uomo” se ne faranno una ragione.

La vicenda della Sea Watch è solo la punta dell'iceberg.
Sono il capitalismo e l'imperialismo i veri responsabili delle migrazioni. Sono le politiche di guerra delle “democrazie”. Le desertificazioni prodotte da saccheggi ambientali e cambi climatici. La rapina – quella sì assolutamente “legale” – che Stati Uniti, Cina, Francia, Italia, Germania, Gran Bretagna, Russia stanno promuovendo in tutto il continente africano, sgomitando tra loro, per procurarsi litio e cobalto, le materie prime indispensabili per le batterie elettriche e le tecnologie informatiche, il nuovo affare del secolo. Molti milioni di africani stanno migrando all'interno dell'Africa stessa, di paese in paese, costretti dalla privazione delle terre e dalla fame. Chi arriva nelle galere libiche, e spera di arrivare in Europa, è solo una goccia nel mare di questa enorme migrazione.

Per questo la risposta alla tragedia dell'immigrazione non può fermarsi alla rivendicazione dell'accoglienza. Accoglienza e apertura dei porti dev'essere sostenuta senza riserve e ambiguità, a maggior ragione senza ammiccamenti obliqui e mascherati al sovranismo reazionario. Ma la battaglia democratica va ricondotta ad una prospettiva anticapitalista e antimperialista, una prospettiva di liberazione senza frontiere, l'unica che possa recidere il male alla radice.


Partito Comunista dei Lavoratori

giovedì 27 giugno 2019

WHIRLPOOL: DI MAIO E AZIENDA INGANNANO NUOVAMENTE I LAVORATORI



Incontro  tra Whirlpool e governo, Di Maio in persona. “Nessuna chiusura, nessun disimpegno, piena occupazione dei lavoratori coinvolti” assicura il ministro. “Non chiuderemo Napoli. Il ministro ha dato grandissima apertura per valutare tutte le possibilità” dichiara soddisfatta l'azienda. L'inganno sta nell'espressione “nessuna chiusura”. L'azienda infatti non ha mai parlato di chiudere lo stabilimento, ma di venderlo. Continuare ad assicurare di non voler chiudere serve a confermare, tra le righe, che si vuole vendere. Questo è il sottotesto vero delle rassicurazioni pubbliche. E una vendita, come dimostra l'esperienza, lascia sempre sul campo una moria di posti di lavoro.

Dire da parte dell'azienda che “il governo ha dato massima apertura per valutare tutte le possibilità” significa dire in linguaggio cifrato che il governo continua a interessarsi del possibile acquirente dell'azienda. Ciò che Di Maio ha fatto – come nessuno ha smentito – dal 13 aprile scorso, tenendo all'oscuro i lavoratori. Non solo. La “massima apertura” del governo ha trovato concretizzazione nel piano di agevolazioni e defiscalizzazioni che Di Maio ha annunciato a vantaggio di Whirlpool. Si chiama in gergo “fiscalità di vantaggio”: regalie direttamente concesse a singole aziende, messe sul conto dell'erario pubblico (cioè di tutti i lavoratori). Altro che “ritireremo i fondi pubblici assegnati all'azienda”, come Di Maio aveva detto dieci giorni fa a uso delle telecamere. Il governo sborsa altri soldi a favore degli azionisti, i quali ne ricaveranno doppio vantaggio. Un vantaggio economico immediato e diretto, ma anche un vantaggio come venditori dello stabilimento: uno stabilimento è più appetibile per un nuovo acquirente se sgravato di tasse.

Intanto l'azienda ha sciorinato un piano industriale che guarda caso sconta la riduzione della produzione nello stabilimento campano già in atto nel 2018 e nel 2019. Lo stabilimento di Napoli ha chiuso il 2018 con la riduzione dei volumi del 62%. La proiezione sul 2019 prevede una riduzione ulteriore e pesante (255.000 lavatrici invece che le 368.000 previste). E questa sarebbe l'azienda che assicura il futuro dei lavoratori? La verità è che il ballo continua, con soldi pubblici e profitti privati, sulla pelle dei lavoratori.

L'unica soluzione vera passa per l'esproprio dell'azienda, senza un centesimo di indennizzo, sotto il controllo degli operai. Battersi per questa soluzione, promuovere una mobilitazione compatta che la sorregga, dovrebbe essere il compito di un sindacato che si rispetti. Il PCL continuerà a sostenere questa proposta tra i lavoratori e le lavoratrici della fabbrica.


Partito Comunista dei Lavoratori

lunedì 10 giugno 2019

10 GIUGNO 1924: IL DELITTO MATTEOTTI

Le motivazioni di questo omicidio politico del regime fascista sono molteplici ed in parte presentano alcuni lati oscuri. La cronaca storica tradizionale ci racconta come motivazione principale il fatto che Matteotti viene ucciso dopo il suo celebre discorso alla Camera dove denuncia i brogli e le violenze delle elezioni del regime. Ma se si va ad approfondire la questione ci si accorge che le motivazioni sono più complesse e diversificate. Matteotti stava per presentare alla Camera un dossier riguardante le tangenti e le mazzette che la Sinclair Oil americana pagava al Duce e al Re per poter trivellare il suolo siciliano e per i suoi interessi sul suolo libico. Il dossier avrebbe rivelato le collaborazioni economiche americane e multinazionali al regime, ed è un'ulteriore prova di quanto il fascismo del ventennio sia stato espressione degli interessi e dei meccanismi economici e di sfruttamento del capitale. L'omicidio di Matteotti non è il primo nè l'ultimo compiuto dall'apparato fascista ma rappresenta una pratica politica del fascismo vecchio e nuovo.



 

martedì 4 giugno 2019

SOLIDARIETÀ CON LA RIVOLUZIONE SUDANESE ATTACCATA DAGLI ISLAMISTI




Più di dieci morti è il bilancio provvisorio del sanguinoso attacco scatenato questa mattina dalle forze del regime militare-islamista sudanese che hanno attaccato il sit-in di massa che da mesi permaneva di fronte al palazzo presidenziale, non accettando il gattopardesco tentativo dei militari islamisti di continuare il regime reazionario e autoritario esistente, solo liberandosi del presidente al-Bashir.
La rivoluzione sudanese, la più laica delle rivoluzioni sviluppatesi dal 2011 nei paesi arabi, è pienamente in piedi e siamo sicuri resisterà alla attuale repressione. Il tentativo dei militari di raccogliere la vandea contadina e piccolo-borghese più arretrata in nome dello slogan “Viva l’Islam, abbasso i comunisti”, per il momento non sembra essere riuscito. Il proletariato e le masse sudanesi hanno una lunga tradizione di lotta e di coscienza di classe. Non a caso il Partito Comunista Sudanese era un partito di massa, il più grande del Medio Oriente (Africa del Nord inclusa) dopo quello iracheno, e dirigeva i sindacati. La sua natura stalinista con una conseguente politica oscillante in nome del carattere “nazionaldemocratico antimperialista” e non socialista della rivoluzione, in particolare nei confronti dei militari “progressisti”, a volte entrando negli scontri tra le diverse fazioni militari e schierandosi dalla parte dei perdenti, lo hanno portato a subire forti momenti di repressione, in particolare negli anni ’70; ma non lo hanno distrutto, e la tradizione di sinistra è rimasta certamente tra i lavoratori, nonostante la irregimentazione islamica delle strutture sindacali. Ciò spiega lo sviluppo, per il momento limitato ma reale, degli scioperi nelle fabbriche, a fianco delle mobilitazioni popolari, giovanili, studentesche, che hanno trovato una leadership provvisoria nelle associazioni professionali della piccola borghesia (avvocati, etc. riuniti nello SPA, Sudanese Professionals Association) non irregimentate dal regime.
Il Partito Comunista, il cui segretario generale è attualmente in prigione e che nel suo momento peggiore aveva appoggiato la “rivoluzione nazionale” di al-Bashir, oggi si è spostato a sinistra e si pronuncia contro il compromesso con i vertici militari; tuttavia mantiene la prospettiva della rivoluzione “democratico-nazionale” riproponendo le posizioni dei menscevichi cento anni fa nella Rivoluzione russa, poi riprese dallo stalinismo.
Invece quello che si pone in Sudan è la trascrescenza dalla rivoluzione per le libertà democratiche a quella socialista, senza soluzione di continuità (rivoluzione permanente).
In questo quadro, esprimiamo la nostra fraterna solidarietà alla unica organizzazione trotskista presente nel paese, Socialist Alternative (Alternativa Socialista). SA non fa parte della nostra corrente internazionale (è la sezione sudanese del Comitato per un'Internazionale Operaia - CWI). Ma, per quanto la conosciamo, noi condividiamo la sua politica nella situazione data. SA fa appello allo sviluppo e coordinamento dei comitati nelle fabbriche, nei quartieri e tra i ranghi dell’esercito, e al loro coordinamento nella prospettiva di un “governo dei lavoratori e dei poveri”; solo in questo ambito pone il problema dell'assemblea costituente. Una politica di tipo bolscevico, che condividiamo.
Il movimento di massa sudanese si confronterà nei prossimi giorni con scadenze drammatiche. La stessa direzione ufficiale democratico-piccolo-borghese del movimento ha deciso, dopo il massacro, di interrompere le trattative con i militari. Esso ha la necessità della massima attenzione e solidarietà da parte del movimento operaio e democratico di tutto il mondo. Il PCL non mancherà a questo dovere.


Partito Comunista dei Lavoratori - commissione internazionale