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lunedì 28 ottobre 2019
PRESIDIO IN SOLIDARIETÀ CON IL POPOLO CILENO
Il Cile è, insieme al Ruanda, uno degli otto paesi al mondo in cui la disuguaglianza tra i cittadini è più forte. Gli anni di governo “democratico” non hanno intaccato questo stato di cose, non hanno modificato la Costituzione ereditata dalla dittatura e non hanno cambiato il modello ultraneoliberista impiantato da Pinochet. L’acqua, la sanità, l’istruzione, la sicurezza sociale, il trasporto, l’alloggio: tutto è privatizzato e per avere accesso a questi beni fondamentali le famiglie sono costrette a indebitarsi pesantemente.
Dall’altra parte c’è una minoranza privilegiata che si appropria della stragrande maggioranza delle risorse nazionali e una classe politica che riesce ad approvare solo aumenti del proprio appannaggio. Solo due esempi: il presidente del Senato guadagna più del re di Spagna e la “pensione” degli ex capi di Stato è superiore a quella degli ex presidenti statunitensi.
La nostra solidarietà popolazione che lotta per il diritto all’acqua, alla salute, all’istruzione e chiede a gran voce le dimissioni del presidente Piñera.
Il Pcl invita iscritti e simpatizzanti a partecipare.
sabato 26 ottobre 2019
GIÙ LE MANI DAL ROJAVA! GIÙ LE MANI DAI CURDI!
Via le
truppe turche e quelle di tutte le potenze imperialiste dalla Siria!
Testo del
volantino del PCL
Il
recente accordo di Sochi tra Putin ed Erdogan, che segue il ritiro delle truppe
USA da parte di Trump, ha dimostrato ancora una volta che i curdi sono soli
nella loro lotta per l’autodeterminazione ed una diversa società. Essi, al di
là di ogni errore e limite dei loro gruppi dirigenti, meritano il sostegno
pieno di tutto il movimento operaio, antimperialista e democratico nel mondo.
In Italia il nostro partito partecipa a tutte le iniziative possibili in tal
senso. Qui di seguito il testo del volantino (in fondo alla pagina in allegato)
che esprime le nostre posizioni e che diffonderemo, in particolare alla due
manifestazioni, nazionali o interregionali, del 26 ottobre a Milano e del primo
novembre a Roma.
Poche settimane fa l'imperialismo USA ha deciso di scaricare i curdi siriani, dopo averli usati come fanteria contro l'ISIS. È il cinismo della politica imperialista. Cinismo che è oggi ripetuto dal neoimperialismo russo che, dopo aver «fermamente condannato» l’azione della Turchia di Erdogan, le permette di realizzare i suoi obbiettivi, con in contraccambio una possibilità accentuata di sviluppare i suoi interessi in Siria e in Medio Oriente.
Le milizie curde delle YPG sono state determinanti nella sconfitta politica e militare delle organizzazioni reazionarie panislamiste. A Kobane e in tante altre città del nord-siriano uomini e donne curde, armi alla mano, hanno dato prova di un eroismo autentico. Senza la loro avanzata di terra, palmo a palmo, al prezzo di enormi sofferenze e di un grande sacrificio di vite, non sarebbe stato possibile piegare ISIS. Anche per questo il movimento operaio internazionale e le ragioni degli oppressi di tutto il mondo hanno un debito di riconoscenza nei confronti dei combattenti curdi.
Trump li ha abbandonati alla furia di Erdogan e dell'esercito turco. L'accordo fra Trump ed Erdogan è stato un esplicito semaforo verde all'invasione turca del Nord siriano, ciò che significa di fatto non solo l'annessione di parte della Siria, a beneficio dei progetti neo-ottomani del nuovo sultano, ma anche e in primo luogo una guerra di annientamento della resistenza curda.
Oggi l’accordo tra Putin ed Erdogan permette alla Turchia di raggiungere i propri obiettivi col minimo sforzo. Purtroppo, è certo che domani la Turchia non si accontenterà di quanto raggiunto, e cercherà di riprendere la sua offensiva per cercare di distruggere del tutto ogni forma di resistenza curda. E lì si riaprirà il vergognoso balletto (che sarebbe ridicolo se non fosse tragico) di alleanze cangianti. Salvo che, rapidamente, non sia il regime totalitario di Assad a intraprendere direttamente, con l’aiuto delle truppe russe, il tentativo di “pacificare” il Rojava. Tutte le forze in campo: turchi, statunitensi, russi, esercito di Assad, ex “rivoluzionari antitotalitari” dell’Esercito Libero Siriano, trasformatisi in mercenari di Erdogan, non sono che forze controrivoluzionarie, e oggi chiunque esprime sostegno o speranza in una qualsiasi di essa aiuta obiettivamente l’imperialismo e la reazione.
Nel rapporto contrastato con gli USA, il governo turco ha messo sul piatto della bilancia la propria posizione strategica: quella di principale avamposto della NATO in Medio Oriente e al tempo stesso interlocutore politico e militare della Russia di Putin. L'imperialismo americano non voleva rischiare di spingere Erdogan verso Mosca, per questo gli ha lasciato via libera nella guerra ai curdi. Una guerra di cui Erdogan ha assoluto bisogno anche per ragioni politiche interne, dopo la sconfitta elettorale di Istanbul e nel pieno della recessione economica turca. Issare la bandiera del nazionalismo turco e conquistare manu militari il nord della Siria sono ossigeno prezioso per il regime, come lo è poter respingere nei territori militarmente annessi i rifugiati di guerra siriani, già oggetto di una crescente campagna xenofoba interna.
Per gli imperialismi europei, Italia inclusa, l'unica loro preoccupazione per la scelta di Trump è che una guerra nel Nord siriano possa sospingere ulteriori flussi di immigrati in Europa. La UE ha pagato Erdogan fior di miliardi per fargli fare il guardiano delle rotte balcaniche, per questo tace sull'attacco ai diritti democratici in Turchia e sulla natura reale del regime che lo promuove. La macelleria contro i curdi è solo una sgradita complicazione, nulla più.
Quanto alla Russia di Putin, si è con abile rapidità inserita nel vacuum lasciato aperto dagli USA, ponendosi alla testa di una situazione di “accordo” favorevole ad Erdogan, ma che rafforza il suo ruolo in termini esponenziali. Mentre Trump ha fatto buon viso a cattivo gioco, salutando l’accordo, togliendo le sanzioni alla Turchia, ma cercando di mantenere un piccolo contingente militare a protezione… dei pozzi di petrolio.
Le organizzazioni curde hanno tentato di resistere con tutte le proprie forze all'invasione turca, ma il divario di potenza era ed è enorme. È necessaria la più vasta azione di solidarietà e di sostegno al popolo curdo e al Rojava da parte del movimento operaio italiano, europeo, mondiale, delle organizzazioni sindacali, delle sinistre politiche, dei movimenti antimperialisti. “Giù le mani dai curdi” può e deve diventare la parola d'ordine di una vasta mobilitazione unitaria.
Ma gli avvenimenti del Medio Oriente ci consegnano una lezione di fondo che va al di là dell'emergenza e che interroga la prospettiva. I fatti confermano una volta di più che il popolo curdo, come il popolo palestinese, non ha alleati possibili tra le potenze imperialiste, vecchie e nuove. Nessun imperialismo metterà a rischio i propri interessi strategici per la causa nazionale di un popolo oppresso. E l'interesse strategico di tutti gli imperialismi è sostenere la Turchia e lo Stato sionista, quali migliori tutori dei propri affari in Medio Oriente. Tutte le strategie di accomodamento diplomatico con questa o quella potenza imperialista al fine di guadagnarne i favori si sono rivelate illusioni, sia in campo curdo, sia in campo palestinese. Non hanno favorito i popoli oppressi, ma solo i loro avversari. La lezione della grave scelta del governo del Rojava di porsi in alleanza con l’imperialismo USA, per poi essere vilmente tradito, è lì a dimostrarlo.
I curdi, come i palestinesi, possono contare solo sulla propria forza e sul sostegno dei lavoratori di tutto il mondo.
La liberazione e unificazione del Kurdistan, come la liberazione della Palestina, possono compiersi solo per via rivoluzionaria, solo attraverso la saldatura della propria causa nazionale con la prospettiva della rivoluzione socialista nella nazione araba e in Medio Oriente.
Non è il pur generoso tentativo del cosiddetto confederalismo democratico, cioè l’utopia di una società egualitaria in un quadro localista e pur sempre col permanere della divisione in classi e l’accettazione dei confini attuali, che può liberare il popolo curdo dall’oppressione nazionale e sociale; ma solo una prospettiva di rivoluzione internazionale in Medio Oriente che, liberandolo dal dominio imperialista, sionista e dei regimi borghesi e feudo-borghesi (monarchie arabe), può assicurare il pieno diritto di autodeterminazione di tutti i popoli oppressi.
La costruzione dell'Internazionale marxista rivoluzionaria è condizione decisiva per sviluppare questa prospettiva.
Via tutte le truppe turche e imperialiste (USA, europee e russe) dalla Siria!
Stop all’armamento dell’esercito turco e di quello di Assad!
Armi ai curdi!
Per un Kurdistan libero, unito, indipendente, socialista!
Per la Federazione socialista del Medio Oriente, con il diritto di autodeterminazione per tutti i suoi popoli!
Poche settimane fa l'imperialismo USA ha deciso di scaricare i curdi siriani, dopo averli usati come fanteria contro l'ISIS. È il cinismo della politica imperialista. Cinismo che è oggi ripetuto dal neoimperialismo russo che, dopo aver «fermamente condannato» l’azione della Turchia di Erdogan, le permette di realizzare i suoi obbiettivi, con in contraccambio una possibilità accentuata di sviluppare i suoi interessi in Siria e in Medio Oriente.
Le milizie curde delle YPG sono state determinanti nella sconfitta politica e militare delle organizzazioni reazionarie panislamiste. A Kobane e in tante altre città del nord-siriano uomini e donne curde, armi alla mano, hanno dato prova di un eroismo autentico. Senza la loro avanzata di terra, palmo a palmo, al prezzo di enormi sofferenze e di un grande sacrificio di vite, non sarebbe stato possibile piegare ISIS. Anche per questo il movimento operaio internazionale e le ragioni degli oppressi di tutto il mondo hanno un debito di riconoscenza nei confronti dei combattenti curdi.
Trump li ha abbandonati alla furia di Erdogan e dell'esercito turco. L'accordo fra Trump ed Erdogan è stato un esplicito semaforo verde all'invasione turca del Nord siriano, ciò che significa di fatto non solo l'annessione di parte della Siria, a beneficio dei progetti neo-ottomani del nuovo sultano, ma anche e in primo luogo una guerra di annientamento della resistenza curda.
Oggi l’accordo tra Putin ed Erdogan permette alla Turchia di raggiungere i propri obiettivi col minimo sforzo. Purtroppo, è certo che domani la Turchia non si accontenterà di quanto raggiunto, e cercherà di riprendere la sua offensiva per cercare di distruggere del tutto ogni forma di resistenza curda. E lì si riaprirà il vergognoso balletto (che sarebbe ridicolo se non fosse tragico) di alleanze cangianti. Salvo che, rapidamente, non sia il regime totalitario di Assad a intraprendere direttamente, con l’aiuto delle truppe russe, il tentativo di “pacificare” il Rojava. Tutte le forze in campo: turchi, statunitensi, russi, esercito di Assad, ex “rivoluzionari antitotalitari” dell’Esercito Libero Siriano, trasformatisi in mercenari di Erdogan, non sono che forze controrivoluzionarie, e oggi chiunque esprime sostegno o speranza in una qualsiasi di essa aiuta obiettivamente l’imperialismo e la reazione.
Nel rapporto contrastato con gli USA, il governo turco ha messo sul piatto della bilancia la propria posizione strategica: quella di principale avamposto della NATO in Medio Oriente e al tempo stesso interlocutore politico e militare della Russia di Putin. L'imperialismo americano non voleva rischiare di spingere Erdogan verso Mosca, per questo gli ha lasciato via libera nella guerra ai curdi. Una guerra di cui Erdogan ha assoluto bisogno anche per ragioni politiche interne, dopo la sconfitta elettorale di Istanbul e nel pieno della recessione economica turca. Issare la bandiera del nazionalismo turco e conquistare manu militari il nord della Siria sono ossigeno prezioso per il regime, come lo è poter respingere nei territori militarmente annessi i rifugiati di guerra siriani, già oggetto di una crescente campagna xenofoba interna.
Per gli imperialismi europei, Italia inclusa, l'unica loro preoccupazione per la scelta di Trump è che una guerra nel Nord siriano possa sospingere ulteriori flussi di immigrati in Europa. La UE ha pagato Erdogan fior di miliardi per fargli fare il guardiano delle rotte balcaniche, per questo tace sull'attacco ai diritti democratici in Turchia e sulla natura reale del regime che lo promuove. La macelleria contro i curdi è solo una sgradita complicazione, nulla più.
Quanto alla Russia di Putin, si è con abile rapidità inserita nel vacuum lasciato aperto dagli USA, ponendosi alla testa di una situazione di “accordo” favorevole ad Erdogan, ma che rafforza il suo ruolo in termini esponenziali. Mentre Trump ha fatto buon viso a cattivo gioco, salutando l’accordo, togliendo le sanzioni alla Turchia, ma cercando di mantenere un piccolo contingente militare a protezione… dei pozzi di petrolio.
Le organizzazioni curde hanno tentato di resistere con tutte le proprie forze all'invasione turca, ma il divario di potenza era ed è enorme. È necessaria la più vasta azione di solidarietà e di sostegno al popolo curdo e al Rojava da parte del movimento operaio italiano, europeo, mondiale, delle organizzazioni sindacali, delle sinistre politiche, dei movimenti antimperialisti. “Giù le mani dai curdi” può e deve diventare la parola d'ordine di una vasta mobilitazione unitaria.
Ma gli avvenimenti del Medio Oriente ci consegnano una lezione di fondo che va al di là dell'emergenza e che interroga la prospettiva. I fatti confermano una volta di più che il popolo curdo, come il popolo palestinese, non ha alleati possibili tra le potenze imperialiste, vecchie e nuove. Nessun imperialismo metterà a rischio i propri interessi strategici per la causa nazionale di un popolo oppresso. E l'interesse strategico di tutti gli imperialismi è sostenere la Turchia e lo Stato sionista, quali migliori tutori dei propri affari in Medio Oriente. Tutte le strategie di accomodamento diplomatico con questa o quella potenza imperialista al fine di guadagnarne i favori si sono rivelate illusioni, sia in campo curdo, sia in campo palestinese. Non hanno favorito i popoli oppressi, ma solo i loro avversari. La lezione della grave scelta del governo del Rojava di porsi in alleanza con l’imperialismo USA, per poi essere vilmente tradito, è lì a dimostrarlo.
I curdi, come i palestinesi, possono contare solo sulla propria forza e sul sostegno dei lavoratori di tutto il mondo.
La liberazione e unificazione del Kurdistan, come la liberazione della Palestina, possono compiersi solo per via rivoluzionaria, solo attraverso la saldatura della propria causa nazionale con la prospettiva della rivoluzione socialista nella nazione araba e in Medio Oriente.
Non è il pur generoso tentativo del cosiddetto confederalismo democratico, cioè l’utopia di una società egualitaria in un quadro localista e pur sempre col permanere della divisione in classi e l’accettazione dei confini attuali, che può liberare il popolo curdo dall’oppressione nazionale e sociale; ma solo una prospettiva di rivoluzione internazionale in Medio Oriente che, liberandolo dal dominio imperialista, sionista e dei regimi borghesi e feudo-borghesi (monarchie arabe), può assicurare il pieno diritto di autodeterminazione di tutti i popoli oppressi.
La costruzione dell'Internazionale marxista rivoluzionaria è condizione decisiva per sviluppare questa prospettiva.
Via tutte le truppe turche e imperialiste (USA, europee e russe) dalla Siria!
Stop all’armamento dell’esercito turco e di quello di Assad!
Armi ai curdi!
Per un Kurdistan libero, unito, indipendente, socialista!
Per la Federazione socialista del Medio Oriente, con il diritto di autodeterminazione per tutti i suoi popoli!
Partito
Comunista dei Lavoratori
venerdì 25 ottobre 2019
CILE. UNA CRISI RIVOLUZIONARIA MEZZO SECOLO DOPO
“Siamo
l'unica oasi dell'America Latina” aveva dichiarato dieci giorni fa il
Presidente del Cile Sebastián Piñera. E tutti gli osservatori internazionali a
partire dai mercati finanziari non avevano ragione di dubitarne. Crescita annua
del 3%, “riduzione della povertà estrema”, allargamento della classe media,
tutti gli indicatori convenzionali sembravano avvalorare l'immagine di un paese
politicamente stabile con una base sociale d'appoggio in espansione. Ma era
solo una rappresentazione capovolta della realtà. Dopo quarant'anni di
politiche sociali iperliberiste dettate dalla scuola dei Chicago boys, il Cile
era un'oasi solo per il grande capitale, americano ed europeo. L'allargamento
della classe media ha convissuto per decenni con l'impoverimento di ampi strati
popolari e con la crescita abnorme delle disuguaglianze, in un paese in cui il
costo della vita è europeo ma i salari sono miserabili, le pensioni da fame,
gli studenti sono indebitati a livelli americani, il servizio sanitario è
inaccessibile per milioni di cileni. Questo è il grande deposito di dinamite su
cui Piñera sedeva. Ora è esploso.
Il
fiammifero che ha acceso la miccia è apparentemente banale: l'aumento ulteriore
del 3,7% del prezzo del biglietto della metropolitana, dopo continui rincari.
Migliaia di giovani hanno risposto con lo scavalcamento dei tornelli e il
rifiuto di pagare. La polizia ha reagito con la tipica ottusità di regime:
criminalizzazione e repressione, ciò che ha innescato il dilagare della rivolta
sociale e il suo carattere incontrollabile. Il Presidente ha aggravato la
situazione domenica sera con una dichiarazione demenziale: “Siamo in guerra
contro un nemico subdolo e potente che minaccia la sicurezza pubblica”. Da qui il
ricorso al pugno di ferro, con la convinzione di intimidire la piazza.
Coprifuoco, stato di emergenza nella capitale e nelle principali città, 20.000
militari nelle strade a supporto della polizia con relativi blindati. Il
bilancio è di 18 morti (molti crivellati dalle armi da fuoco), di centinaia di
feriti, ma anche di sequestri, stupri e torture, come denunciato e documentato
dalle organizzazioni democratiche cilene. In un paese in cui certo non manca la
professionalità militare. Ma questo ricorso alla repressione non solo non ha
isolato le prime proteste ma le ha generalizzate in tutto il Cile, e
soprattutto ha allagato a macchia d'olio la base sociale della mobilitazione.
Tra domenica e martedì una autentica sollevazione popolare ha attraversato il
Cile. L'onda d'urto è stata talmente dirompente che martedì sera il Presidente
Piñera ha dovuto cambiare spartito. Dalla minaccia militare alla “richiesta di
perdono” a reti unificate per la propria «incapacità di cogliere sino in fondo
le ragioni sociali della protesta», e dunque l'invito al «dialogo nazionale per
riportare il Cile alla pace», salvo mantenere i militari per le strade e il
relativo stato di emergenza. Una contraddizione talmente plateale da privare la
postura dialogante di ogni credibilità. Salvo un paio di partiti borghesi,
persino l'opposizione liberale ha dovuto smarcarsi dal Presidente, e così ha
fatto il Partito Socialista di Bachelet, partito chiave del precedente governo,
nella sorpresa generale.
Finito con
le spalle al muro, e senza sapere che fare, Sebastián Piñera ha giocato
mercoledì sera la carta delle concessioni sociali: aumento del 20% delle
pensioni, un'assicurazione sanitaria pubblica, un reddito minimo garantito di
500 dollari al mese, la cancellazione degli aumenti dell'elettricità, l'aumento
dell'aliquota fiscale per i redditi superiori a 11.000 dollari al mese, persino
l'immancabile riduzione degli stipendi dei parlamentari. Non poco, per molti
aspetti, per un governo iperliberista: la misura della forza della sollevazione.
La prova, se ve n'era bisogno, che solo la minaccia di una rivoluzione può
strappare riforme, non altro. Ma le concessioni sociali di un regime screditato
sono apparse alle grandi masse del Cile per quello che sono: la misura della
fragilità del potere, il fallimento della repressione, un ulteriore
incoraggiamento alla ribellione.
Mercoledì,
mentre Piñera giocava la carta sociale, il movimento operaio ha fatto il suo
ingresso prepotente sulla scena. Fino ad allora la rivolta popolare aveva un
carattere indistinto, una sorta di magma sociale acefalo popolato da una
miriade di gruppi spontanei, collettivi popolari di quartiere, settori
diseredati delle periferie. Con l'ingresso sulla scena della classe operaia, il
quadro cambia. L'ingresso in sciopero prima dei portuali e poi dei minatori ha
finito col trascinare con sé il movimento operaio cileno. I minatori del rame
sono la spina dorsale del proletariato cileno, i portuali detengono una grande
tradizione sindacale. La loro irruzione nella lotta ha indotto la burocrazia
sindacale della CUT a proclamare lo sciopero generale, attorno alla
rivendicazione della fine dello stato di emergenza e della punizione dei
responsabili dei crimini, quali condizione dell'apertura del dialogo con
Piñera. È il tentativo della burocrazia di recuperare il controllo della
mobilitazione sociale e di rafforzare il proprio peso negoziale d'apparato. Ma
al di là del gioco burocratico, l'ingresso della classe operaia sulla scena può
dare alla mobilitazione di massa una direzione e un baricentro sociale, con
potenzialità dirompenti.
Il ricambio
generazionale è un'ulteriore chiave di lettura degli avvenimenti. La giovane
generazione che occupa le strade e le piazze non ha conosciuto il trauma della
dittatura militare di Pinochet, se non attraverso le memorie della generazione
precedente. Anche per questo non è segnata dal riflesso condizionato della
paura. E questo vale anche per la giovane classe operaia cilena. Inoltre, il
controllo dei vecchi apparati riformisti sul movimento di massa è l'ombra di
quello che fu mezzo secolo fa. Allora il Partito Comunista stalinista di
Corvalan e il Partito Socialista di Altamirano godevano di una forza capillare
e un radicamento enorme. Se ne servirono per subordinare la rivoluzione cilena
al cappio della collaborazione con la borghesia in cambio di riforme sociali,
ciò che spianò la strada al fallimento di Allende e al golpe fascista del
generale Pinochet, lo stesso cui Allende aveva consegnato la... tutela della
democrazia. Oggi la socialdemocrazia cilena è usurata dalla lunga pratica del
governo di centrosinistra di Bachelet (2014-2018) che ha governato il Cile nel
rispetto ossequioso del FMI e delle sue ricette, mentre il Partito Comunista,
fedele alla sua tradizione, si è compromesso nel governo Bachelet e nella sua
rovina. Il disincanto di massa verso i vecchi partiti di governo e di
opposizione ha questa radice. Tutto ciò allarga il potenziale della rivoluzione
cilena, ma pone perciò stesso il nodo cruciale della sua direzione.
Seguiremo la
dinamica degli avvenimenti, e ci occuperemo in un prossimo articolo del
confronto interno alla sinistra cilena, sul ruolo dei marxisti rivoluzionari,
sul dibattito relativo alle parole d'ordine che l'attraversa. Ma a partire
dalla difesa della seconda rivoluzione cilena, e per costruire la direzione
politica che le mancò mezzo secolo fa.
Partito
Comunista dei Lavoratori
giovedì 24 ottobre 2019
LA FABBRICA DELLA PAURA
La
trattativa della Lega per i soldi e il petrolio russo è solo una tessera di un
mosaico molto più ampio
“SALVINI VIENI A SPIEGARCI!” MA AL PARLAMENTO PREFERISCE LA SPIAGGIA!
25 OTTOBRE: SCIOPERO GENERALE!
UNO SCIOPERO CONTRO IL NUOVO GOVERNO
E I PADRONI DI SEMPRE
Nessun
governo di svolta, nessun cambiamento, tutti i provvedimenti dei precedenti
governi vengono conservati: resta soppresso l'articolo 18, resta il progetto di
autonomia regionale differenziata, resta la Legge Fornero, resta l'impianto
degli stessi decreti sicurezza di Salvini. In un contesto dove da una parte,
attraverso nuovi sgravi fiscali ai profitti, si regalano miliardi alle imprese
e dall’altra le misure “sociali”, come il taglio del cuneo fiscale, saranno
messe a carico dei lavoratori attraverso il taglio di agevolazioni fiscali e
spesa sociale.
E cosa
fanno i sindacati confederali? Nessuna mobilitazione e tanto meno
un’ora di sciopero contro questo governo. Firmano accordi che impongono il welfare aziendale (pagato
ancora da chi un lavoro lo ha) in sostituzione di quello universale (pubblico e
per tutti), danno l’assenso ad opere inutili come la TAV Torino- Lione,
concertano la trasformazione in legge dell'accordo del 10 gennaio 2014 che
annulla ogni forma democratica di rappresentanza sindacale e garantisce il
monopolio della rappresentanza a CGIL, CISL e UIL.
Milioni di
lavoratori e lavoratrici sono oggi chiamati a rinnovare i contratti in una
situazione dove le crisi aziendali sono centinaia e il caso Whirlpool è
l’ultimo di una lunga serie. Al di là delle diversità di categoria e di
piattaforma può e deve essere questa un'occasione per uscire dal pantano e cambiare
realmente le cose, contrastando con forza l’avanzata di una destra sociale
razzista e sovranista.
UNIFICARE LE LOTTE E PROMUOVERE UNA
PIATTAFORMA GENERALE DELLE RAGIONI DEL LAVORO, nella prospettiva di una
mobilitazione di massa generale e prolungata contro il governo e il padronato,
sostenuta da casse di resistenza, la cui piattaforma e i metodi di lotta siano
elaborati e decisi attraverso assemblee unitarie di delegati e delegate,
eletti/e nei luoghi di lavoro, fino al livello nazionale.
UNA
PIATTAFORMA CHE ABBIA COME PUNTI QUALIFICANTI:
·
Il blocco dei licenziamenti e la
nazionalizzazione di tutte le aziende e servizi privatizzati negli ultimi
venticinque anni, senza indennizzo e sotto controllo sociale, a partire dai
beni comuni (autostrade, servizi idrici, trasporti...) e di tutte le aziende
che delocalizzano o licenziano o inquinano;
·
il recupero dell'articolo 18 e la sua
estensione a tutti i lavoratori;
·
la cancellazione delle leggi di
precarizzazione del lavoro ed assunzione dei lavoratori precari; la
ripartizione del lavoro tra tutti, attraverso la riduzione dell'orario di
lavoro a 32 ore a parità di paga;
·
l'introduzione di un salario minimo
intercategoriale di 1500 euro e di un vero salario sociale ai disoccupati e ai
giovani in cerca di prima occupazione, pagato dalla cancellazione dei
trasferimenti pubblici alle imprese private;
·
la reale abolizione della legge
Fornero, età pensionabile a 60 anni o 35 di lavoro, finanziata dalla tassazione
progressiva dei grandi patrimoni, profitti, rendite e dall'abolizione del
debito pubblico verso le banche;
·
la piena uguaglianza di diritti tra
lavoratori italiani e immigrati.
Lo sciopero indetto
dal sindacalismo di base va in questa direzione ed è per queste ragioni che il
Partito Comunista dei Lavoratori sostiene la mobilitazione generale del il 25
ottobre indetta da CUB, SGB, SI Cobas, Usi/Cit, Adl Cobas.
Solo questo programma di
rivendicazioni può rispondere all’attacco padronale e alla crisi capitalistica
e mettere in discussione un sistema economico fondato sullo sfruttamento e
sulla rapina. Solo proiettando in questa, come in ogni lotta, la prospettiva
politica del governo dei lavoratori come unica vera alternativa si può aprire
la strada per riorganizzare la società dalle fondamenta rovesciando la dittatura
del profitto.
martedì 22 ottobre 2019
DEFEND ROJAVA!
26 OTTOBRE ORE 14.30 IN VIA PALESTRO
A MILANO
( per le
compagne e i compagni del PCL 14,30 corso Venezia angolo via Palestro ingresso
giardini pubblici)
GRANDE
MANIFESTAZIONE A MILANO
l 26 ottobre
è stata indetta con il supporto di TUTTE le realtà attive nel nord e centro
nord una grande manifestazione a Milano che avrà per obiettivo il Consolato
turco, super presidiato.
mercoledì 16 ottobre 2019
BLOCCARE LA PRODUZIONE, OCCUPARE LA FABBRICA, NAZIONALIZZARE LA WHIRLPOOL
Volantino
del PCL agli operai in lotta
Il PCL
rinnova, in queste ore drammatiche, il pieno sostegno agli operai e alle
operaie della Whirlpool.
L'azienda ha confermato una volta di più che gli accordi sottoscritti sono carta straccia.
Le promesse del governo, com'era prevedibile, valgono zero. Giusto il tempo delle campagne elettorali. La verità è che gli operai possono contare solo sulla propria forza. È ora che i sindacati la usino sino in fondo.
Il tempo delle passerelle, delle interpellanze, degli incontri istituzionali, è finito. Basta con le prese in giro. Occorre cambiare registro.
La produzione va bloccata. Gli stabilimenti Whirlpool vanno occupati, dalla fabbrica non deve uscire un bullone. Va rivendicata la nazionalizzazione della Whirlpool senza un centesimo di indennizzo per gli azionisti e sotto il controllo degli operai.
Questa è l'unica reale soluzione per conservare il lavoro, non ne esistono altre.
Il PCL sosterrà in ogni caso sino in fondo tutte le azioni di lotta che deciderete di intraprendere.
L'azienda ha confermato una volta di più che gli accordi sottoscritti sono carta straccia.
Le promesse del governo, com'era prevedibile, valgono zero. Giusto il tempo delle campagne elettorali. La verità è che gli operai possono contare solo sulla propria forza. È ora che i sindacati la usino sino in fondo.
Il tempo delle passerelle, delle interpellanze, degli incontri istituzionali, è finito. Basta con le prese in giro. Occorre cambiare registro.
La produzione va bloccata. Gli stabilimenti Whirlpool vanno occupati, dalla fabbrica non deve uscire un bullone. Va rivendicata la nazionalizzazione della Whirlpool senza un centesimo di indennizzo per gli azionisti e sotto il controllo degli operai.
Questa è l'unica reale soluzione per conservare il lavoro, non ne esistono altre.
Il PCL sosterrà in ogni caso sino in fondo tutte le azioni di lotta che deciderete di intraprendere.
Partito
Comunista dei Lavoratori
lunedì 14 ottobre 2019
LA TRAGEDIA CURDA HA DEI RESPONSABILI
Da “Lettere”
La Provincia Pavese del 13 ottobre
La Provincia Pavese del 13 ottobre
L'imperialismo
USA ha deciso di scaricare i curdi siriani, dopo averli usati come fanteria
contro l'Isis. È il cinismo della politica imperialista. A Kobane e in tante
altre città del nord siriano uomini e donne curde, armi alla mano, hanno dato
prova di un eroismo. Senza la loro avanzata di terra, i bombardamenti aerei non
avrebbero potuto piegare Isis. Anche per questo le ragioni degli oppressi di
tutto il mondo hanno un debito di riconoscenza nei confronti dei combattenti
curdi.
Ora Donald
Trump definisce la loro guerra "una guerra ridicola", e li abbandona
alla furia di Erdogan e dell'esercito turco. Una guerra di cui Erdogan ha
assoluto bisogno anche per ragioni politiche interne, dopo la sconfitta
elettorale di Istanbul e nel pieno della recessione economica turca. Quanto
agli imperialismi europei, Italia inclusa, l'unica loro preoccupazione per la
scelta di Trump è che una nuova guerra possa sospingere ulteriori flussi di
immigrati in Europa. La Ue ha pagato Erdogan fior di miliardi per fargli fare
il guardiano delle rotte balcaniche, per questo tace sull'attacco ai diritti
democratici in Turchia e sulla natura reale del regime che lo promuove.
La macelleria
annunciata contro i curdi è solo una sgradita complicazione, nulla più.
Francesco Anfossi.
Partito Comunista dei Lavoratori, Pavia
sabato 12 ottobre 2019
PRESIDIO IN SOLIDARIETÀ AL POPOLO KURDO
Lunedì, 14 Ottobre 2019 alle ore 18,00 - Consolato di Turchia Via Canova, 36 Milano
Presidio in solidarietà al popolo Kurdo
Il Pcl invita i propri iscritti e simpatizzanti a partecipare
CONTATTI
- pclmilano@gmail.com
martedì 8 ottobre 2019
Manifestazione contro i CPR
Sabato, 12 Ottobre 2019 alle ore 14.30 - Piazzale Piola (M2
Piola, filovia 90 - 91 bus 39 - 62) Milano
Contro le
politiche di Centrodestra e Centrosinistra nei confronti dei migranti. Contro
il razzismo ed ogni discriminazione, per la chiusura dei Cpr. Il Partito
Comunista dei lavoratori aderisce ed invita i propri iscritti e simpatizzanti a
partecipare.
ORGANIZZA
Rete No Cpr
CONTATTI
pclmilano@gmail.com
GIÙ LE MANI DAI CURDI!
TRUMP LASCIA
I CURDI IN PASTO AD ERDOGAN
Come
purtroppo era prevedibile, l'imperialismo USA ha deciso di scaricare i curdi
siriani, dopo averli usati come fanteria contro l'ISIS. È il cinismo della
politica imperialista.
Le milizie curde
delle YPG sono state determinanti nella sconfitta politica e militare delle
organizzazioni reazionarie panislamiste. A Kobane e in tante altre città del
nord siriano uomini e donne curde, armi alla mano, hanno dato prova di un
eroismo autentico.
Senza la loro avanzata di terra, palmo a palmo, al prezzo di
enormi sofferenze e di un grande sacrificio di vite, i soli bombardamenti aerei
non avrebbero potuto piegare ISIS. Anche per questo il movimento operaio
internazionale e le ragioni degli oppressi di tutto il mondo hanno un debito di
riconoscenza nei confronti dei combattenti curdi.
Ora Donald
Trump definisce la loro guerra “una guerra ridicola”, e li abbandona alla furia
di Erdogan e dell'esercito turco. L'accordo fra Trump ed Erdogan è un esplicito
semaforo verde all'invasione turca del Nord siriano, ciò che significa di fatto
non solo l'annessione di parte della Siria, a beneficio dei progetti ottomani
del nuovo sultano, ma anche e in primo luogo una guerra di annientamento della
resistenza curda.
Un massacro annunciato.
Nel rapporto
contrastato con gli USA, il governo turco ha messo sul piatto della bilancia la
propria posizione strategica: quella di principale avamposto della NATO in
Medio Oriente e al tempo stesso interlocutore politico e militare della Russia
di Putin. L'imperialismo americano non poteva rischiare di spingere Erdogan
verso Mosca, per questo gli lascia via libera nella guerra ai curdi.
Una guerra
di cui Erdogan ha assoluto bisogno anche per ragioni politiche interne, dopo la
sconfitta elettorale di Istanbul e nel pieno della recessione economica turca.
Issare la bandiera del nazionalismo turco e conquistare manu militari il nord
della Siria sono ossigeno prezioso per il regime, come lo è poter respingere
nei territori militarmente annessi i rifugiati di guerra siriani, già oggetto
di una crescente campagna xenofoba interna.
Quanto agli
imperialismi europei, Italia inclusa, l'unica loro preoccupazione per la scelta
di Trump è che una nuova guerra nel Nord siriano possa sospingere ulteriori
flussi di immigrati in Europa. La UE ha pagato Erdogan fior di miliardi per
fargli fare il guardiano delle rotte balcaniche, per questo tace sull'attacco
ai diritti democratici in Turchia e sulla natura reale del regime che lo
promuove. La macelleria annunciata contro i curdi è solo una sgradita
complicazione, nulla più.
Le
organizzazioni curde resisteranno con tutte le proprie forze all'annunciata
invasione turca. Ma il divario di potenza è enorme. È necessaria la più vasta
azione di solidarietà e di sostegno alla resistenza curda da parte del
movimento operaio italiano ed europeo, delle organizzazioni sindacali, delle
sinistre politiche, dei movimenti antimperialisti. “Giù le mani dai curdi” può
e deve diventare da subito la parola d'ordine di una vasta mobilitazione
unitaria sotto le ambasciate e i consolati turchi, e contro ogni silenzio e
complicità del proprio imperialismo.
Ma gli
avvenimenti del Medio Oriente ci consegnano una lezione di fondo che va al di
là dell'emergenza e che interroga la prospettiva. I fatti confermano una volta
di più che il popolo curdo, come il popolo palestinese, non ha alleati
possibili tra le potenze imperialiste, vecchie e nuove. Nessun imperialismo
metterà a rischio i propri interessi strategici per la causa nazionale di un
popolo oppresso.
E l'interesse strategico di tutti gli imperialismi è sostenere
la Turchia e lo Stato sionista, quali migliori tutori dei propri affari in
Medio Oriente. Tutte le strategie di accomodamento diplomatico con questa o
quella potenza imperialista al fine di guadagnarne i favori si sono rivelate
illusioni, sia in campo curdo, sia in campo palestinese. Non hanno favorito i
popoli oppressi ma solo i loro avversari. I curdi come i palestinesi possono
contare solo sulla propria forza e sul sostegno dei lavoratori di tutto il
mondo.
La
liberazione e unificazione del Kurdistan, come la liberazione della Palestina,
possono compiersi solo per via rivoluzionaria, solo attraverso la saldatura
della propria causa nazionale con la prospettiva della rivoluzione socialista
nella nazione araba e in Medio Oriente. L'unica che può assicurare il pieno
diritto di autodeterminazione di tutti i popoli oppressi.
La
costruzione dell'Internazionale rivoluzionaria è condizione decisiva per
sviluppare questa prospettiva.
Partito
Comunista dei Lavoratori
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