La disfatta che il NO al referendum ha imposto al populismo di governo e al
progetto bonapartista di Renzi rappresentano per i lavoratori un fatto
straordinariamente positivo. Il governo Renzi si è caratterizzato come uno dei
governi più antioperai della storia della Repubblica, coniugando questo suo
tratto con il tentativo di istituzionalizzare l'azione di governo a basso
consenso, attraverso la combinazione della riforma costituzionale e di una
legge elettorale tra le più antidemocratiche mai proposte. Proprio le
resistenze sociali alle principali bandiere del renzismo, il Jobs Act e la Buona Scuola, hanno gettato
i semi di una crisi di consenso che è sfociata nel tracollo referendario. La
sconfitta del governo Renzi e della sua riforma significa dunque anche un freno
all'avanzata dei padroni sul terreno del conflitto di classe dal versante istituzionale.
Il NO al referendum è stato caratterizzato anche dalla natura composita dei
fronti tanto sociali quanto politici che lo hanno sostenuto. Le destre populiste
(Grillo, Salvini, Berlusconi) si stanno
già lanciando come avvoltoi sul cadavere del renzismo per riuscire a
capitalizzare a loro uso e consumo il risultato del voto tutte nel nome di una
loro specifica soluzione reazionaria della crisi in corso. La Lega punta alla
ricompattazione del centrodestra intorno a Salvini, nel nome dell'imitazione di
Donald Trump, della caccia ai migranti e del più becero nazionalismo;
Berlusconi tenta di spingere il PD, ora visibilmente indebolito, ad un nuovo
abbraccio su legge elettorale, riforme istituzionali e detassazione delle
imprese; il M5S invoca elezioni immediate (con l'Italicum) per coronare la
corsa al governo imperniata su un programma che contrappone frontalmente il
reddito di cittadinanza alla redistribuzione del lavoro, punta all'abolizione
dell'IRAP e spinge su umori xenofobi e nazionalisti.
Il movimento operaio
non ha niente da spartire con nessuna di queste alternative. Un sonoro NO
dunque deve essere risposto anche ad ogni subordinazione passiva alle destre
che si contendono il bottino di guerra. La posta in gioco ora è una risposta di
classe alla crisi in corso, risposta che solo il movimento operaio può
promuovere.
Per fare ciò occorre mettere in campo una mobilitazione straordinaria che
metta sul piatto un programma di rottura, in grado di voltare pagina; un
programma che porti le bandiere della cancellazione di tutte le leggi
antioperaie promosse negli ultimi 30 anni, a partire dal Jobs Act e dalla Buona
scuola, che rompa con ogni feticcio della governabilità borghese e
pretenda una legge elettorale
compiutamente proporzionale, che possa abolire il debito pubblico verso le
banche che possa licenziare i licenziatori e ripartire tra tutti il lavoro
esistente, attraverso la riduzione generale dell'orario di lavoro a parità di
salario. Un NO, dunque, anche alla pesante eredità che il Governo Renzi ci
lascia in termini di sfondamento padronale sui diritti e sui salari dei
lavoratori.
Al
servizio di questa prospettiva autonoma, di questo programma indipendente dei
lavoratori, è necessario costruire il più ampio fronte di lotta del movimento
operaio e delle sue organizzazioni. E al servizio di tutto ciò vanno respinti
con chiaro e forte NO tutti gli accordi sindacali a perdere che la burocrazia
sindacale ha regalato al governo alla vigilia del referendum, nella pubblica
amministrazione come nei servizi dell'igene ambientale, come per i
metalmeccanici. Sarà fondamentale respingere nelle assemblee operaie del
19/20/21 il CCNL metalmeccanico: il NO a Renzi deve diventare il NO operaio a
decenni di sacrifici, l'unico NO che può aprire lo spazio per la risalita della
china, l'unico che può garantire una soluzione di classe della crisi.
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