Difendiamo
il pluralismo sindacale e una linea classista in CGIL, contro le due facce di
Landini

Questa
mattina la segreteria FIOM ha comunicato a Sergio Bellavita, coordinatore
nazionale dell’area congressuale "Il sindacato è un'altra cosa - Opposizione
CGIL" il suo improvviso “licenziamento” dalla stessa FIOM. Sergio infatti
è in distacco, e da maggio dovrà tornare nel proprio posto di lavoro. È
l’ennesimo atto autoritario di una segreteria, e di un segretario generale,
incapace di gestire il confronto, oramai abituato a reprimere il dissenso e le
linee alternative. Una faccia di Maurizio Landini che non è conosciuta.
Maurizio Landini si è infatti legittimato come dirigente sindacale con la
battaglia contro il modello Marchionne, contro la repressione dei diritti
sindacali in FIAT: con i referendum a Pomigliano e Mirafiori, con i cortei
nazionali dell’ottobre 2010 e del marzo 2012. Maurizio Landini è inoltre
conosciuto nella sinistra e tra i lavoratori per alcune aspre discussioni con
la Camusso, come per gli interventi in dissenso ed i voti contrari espressi
negli ultimi congressi CGIL.
Ma dentro la sua organizzazione, Maurizio Landini ha una faccia ben diversa.
Già in passato, infatti, ha represso chi dissentiva da lui. Lo ha fatto nel
2012 con lo stesso Sergio Bellavita, “espulso” dalla segreteria con un
artificio statutariamente illegittimo (le dimissioni di tutti gli altri
componenti, per eleggerne una nuova). Lo ha fatto con Eliana Como, cacciandola
da Bergamo, perché era troppo forte il rapporto che quella compagna
“dissidente” aveva stretto con i lavoratori e le lavoratrici, troppo il
consenso che l’opposizione CGIL stava conquistando nel territorio (tanto che
ancora oggi il direttivo FIOM di Bergamo si convoca una volta ogni… cento e rotti
giorni, per evitare il confronto). Lo ha fatto nel 2011 persino con Augustin
Breda, dirigente nazionale FIOM, coordinatore nazionale di "Lavoro Società
- Cambiare rotta" in FIOM (allora una componente della maggioranza CGIL,
vicina a Camusso ed in dissenso con Landini), “licenziato” dall’apparato
nazionale e rimandato in fabbrica, all’Electrolux di Treviso.
Maurizio Landini ha tentato di reprimere negli scorsi mesi, ancor più
gravemente, alcuni delegati e delegate FCA. Lavoratori e lavoratici che non si
piegavano, ed intendevano continuare una lotta per il controllo
dell’organizzazione del lavoro nei propri stabilimenti. Questi delegati e
delegate, a Melfi ed a Termoli in particolare, hanno infatti continuato ad
indire lo sciopero ogniqualvolta la FCA imponeva uno straordinario comandato
(in genere il sabato), per garantire il diritto a non lavorare nelle festività
e contrastare l’intensificazione dello sfruttamento in fabbrica. Una lotta
talvolta anche vittoriosa, visto che a Termoli dopo molti scioperi e persino un
partecipato corteo interno, i sabati comandati sono stati sospesi. Questa lotta
dei delegati e delle delegate dava però fastidio alla nuova linea FIOM di
riaccreditamento verso Marchionne (1) e di riconquistata unità con FIM e UILM
(contratto nazionale metalmeccanici).
Come al solito, allora, Maurizio Landini ha provato ad eliminare il dissenso.
Prima i suoi segretari territoriali hanno “denunciato” questi delegati al
collegio statutario CGIL, con un pretesto (l’adesione un anno fa ad un coordinamento,
riunitosi una sola volta, come ce ne sono tanti nelle aziende e nel paese,
dalle diverse esperienze di autoconvocati all’"associazione primo
maggio" in UPS, sino alla stesa coalizione sociale promossa dalla FIOM).
Il collegio statutario, meschinamente, ha sancito la loro incompatibilità con
l’organizzazione ascoltando solo le argomentazioni avanzate da queste strutture
(senza possibilità di difesa degli interessati). Poi il Comitato Centrale della
FIOM ha deciso di farli decadere dai ruoli di direzione (direttivi e assemblee
generali) e di rappresentanza (RSA o RLS), con una prassi inedita e illegittima
(come può un organismo dirigente politico limitare i diritti di un iscritto
alla CGIL?). Nel contesto FCA e delle sue ripetute pratiche antisindacali, un
atto che rischia di lasciare senza copertura lavoratori e lavoratrici che
stanno conducendo un’aspra lotta contro il modello Marchionne e le direzioni
aziendali.
La resistenza contro questo gravissimo atto politico è stata però
significativa. Il direttivo FIOM della Basilicata, pur riunitosi per prender
atto di questi provvedimenti, si è concluso con un nulla di fatto per la
difficoltà a far passare un atto di tale pesantezza (tra i delegati minacciati
dal provvedimento, anche alcuni di quelli licenziati dalla FIAT nel 2010). I
direttivi degli altri territori interessati sono poi stati “sconvocati”. Nei
giorni successivi è cresciuta la solidarietà verso questi lavoratori e
lavoratrici, con appelli firmati da centinaia di dirigenti CGIL, con una richiesta
pubblica «a fare un passo indietro, a riaprire un confronto politico e di
merito con questi delegati e con questi lavoratori», firmata da docenti
universitari conosciuti nel movimento operaio (Bellofiore, Vertova, Sacchetto,
Rivera, ecc.), esponenti politici e di movimento (Marco Ferrando, Franco
Turigliatto, Eleonora Forenza, Nicoletta Dosio, Franco Russo, ecc.), ex
sindacalisti (Dino Greco, Fulvio Perini, Giorgio Cremaschi) e giornalisti
(Fabio Sebastiani, Checchino Antonini, Carlo Formenti, Fausto Pellegrini,
ecc.).
Il “licenziamento” di oggi nei confronti di Sergio è allora innanzitutto un
atto vile e prepotente, un tentativo infantile e bambinesco di compensare una
propria difficoltà, una vendetta per non esser riusciti a normalizzare la FIOM.
Per questo, in primo luogo, ci stringiamo a Sergio, contro questa soperchieria
nei suoi confronti. Questo “licenziamento” colpisce però anche il principale
esponente di un’area sindacale, che ha democraticamente conquistato un consenso
tra lavoratori e lavoratrici della CGIL. Certo, un consenso piccolo. In realtà
molto più ampio di quello riconosciuto da una burocrazia arrogante, che ha
falsificato decine e decine di migliaia di voti nel congresso del 2014. Un
consenso, in ogni caso, che questi dati falsi riconoscono al 2,7% in CGIL, al
7% in FIOM. Ma che si traduce in tutto in meno di una decina di funzionari, a
fronte dei più di quindicimila nel complesso dell’organizzazione.
Evidentemente, comunque, troppi. Dei due funzionari della minoranza presenti nell‘apparato
centrale FIOM (pur avendo ottenuto ufficialmente, come detto, almeno il 7% dei
voti), si vuole mandarne a casa uno, il coordinatore nazionale dell’area,
semplicemente per marcare il proprio potere nell’organizzazione.
Il “licenziamento” di Sergio è allora anche qualcosa di altro. È un atto di
repressione politica nei confronti del dissenso e del pluralismo, nel sindacato
e nella sinistra. È il tentativo di ridurre a uno le articolazioni che in ogni
organizzazione di classe sono sempre esistite. È il tentativo di imporre l’idea
che l’unica linea di un’organizzazione sia quella di maggioranza, o meglio
quella del capo (almeno, quando il capo è Maurizio Landini; in CGIL, dove il
capo è Susanna Camusso, si continua a rivendicare pluralismo e diritto al
dissenso).
Si cancella oggi il distacco di Sergio in sindacato, allora, per cancellare
l’agibilità politica di questo dissenso, per togliere legittimità e consistenza
all’unica area di minoranza in FIOM. Si riportano in auge pratiche di
centralismo burocratico che sembravano tramontati in CGIL, importando nel
sindacato quella logica di pulizia politica oramai imperante in molti partiti
della sinistra. Ma è questa l’idea di pluralità che Maurizio Landini pensa di
costruire, in CGIL e nella sinistra?
Contro questa scelta gravemente antidemocratica riteniamo che debba intervenire
subito la CGIL. Ma non solo: pensiamo che tutte le organizzazioni e le
personalità della sinistra debbano denunciare questa scelta. Non solo e non
tanto per solidarietà con Sergio, o con la minoranza dell’opposizione CGIL. Ma
soprattutto per salvaguardare un principio, nel sindacato e nella sinistra:
quello del libero confronto tra diverse linee e prospettive. Per salvaguardare
cioè, in questo momento di pesante arretramento politico e sociale, un
patrimonio democratico della sinistra.
Come PCL, in ogni caso, ci batteremo per una sinistra sindacale classista nella
CGIL. Nel principale sindacato italiano, in un’organizzazione che ha profonde
radici storiche e sociali nel movimento operaio del nostro paese, è infatti
importante continuare a condurre una lotta contro le derive burocratiche e le
linee concertative di accomodamento con il padronato. Proprio come dimostra
l’esperienza in FCA, come quella di tante altre realtà, è la presenza in CGIL e
nel contempo la coerenza di una linea classista che permette di sostenere, pur
con difficoltà e fatica, un conflitto oggi disperso. La presenza in CGIL E la
coerenza di una linea classista. Per difendere e sviluppare questa esperienza,
questa presenza e questa coerenza, ci stringiamo oggi a Sergio e con tutti i
compagni e le compagne dell’opposizione CGIL
Partito
Comunista dei Lavoratori - Segreteria nazionale