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venerdì 15 gennaio 2016

UN’OPPOSIZIONE DI CLASSE CONTRO GUERRA E IMPERIALISMO



Lo scorso autunno è stato gelido. Governo e padronato hanno gestito l’applicazione del JobAct e della controriforma della scuola, il logoramento dei contratti, lo smantellamento del Servizio Sanitario e nuovi regali fiscali a rendite e capitali. Nel frattempo Renzi ha preso il controllo anche dello Stato profondo (CDP, partecipate e controllate), cercando la svolta bonapartista e autoritaria con il Plebiscito sulla Riforma costituzionale.
Tutto questo, senza opposizioni di massa. FIOM e CGIL, dopo la capitolazione sul Job Act, sono sbandate nella vana ricerca di CISL-UIL: i cortei di novembre (FIOM e pubblici) hanno conseguentemente registrato una scarsissima partecipazione. Anche il sindacalismo di base è stato incapace di costruire un appuntamento comune. Il movimento della scuola, nonostante qualche cenno (assemblee LIP, sciopero 13 novembre), sopravvive solo carsicamente nel contrasto della legge scuola per scuola. Ed il mondo antagonista dello sciopero sociale è evaporato, travolto dalle fratture del primo maggio milanese.

Nel contempo la Grande Crisi prosegue. Lo dinamica ineguale e combinata del capitalismo, insieme all’immane intervento monetario delle banche centrali, ha mantenuto un’instabile equilibrio nell’economia mondiale. Oggi però il rallentamento della crescita cinese, basata su un livello spropositato di investimenti (50% del PIL), sta già producendo un effetto di trascinamento, con nuove recessioni (nei paesi emergenti e non): le bolle finanziarie gonfiate in questi anni per gestire la crisi, rischiano nuovamente di esplodere.

In questo quadro, crescono le contraddizioni tra i diversi poli imperialisti.

Gli USA, sospinti dalla FED, provano a riproporre una propria (debole) egemonia: rivalutano il dollaro, delineano Grandi Accordi Commerciali che escludono la Cina (TTP e del TTIP), rilanciano la NATO come strumento di controllo nel mondo.

La Cina esporta capitali (15 volte quelli del 2000), traccia assi di espansione (vie della seta), delinea i primi strumenti per un’area di influenza (ruolo internazionale dello yuan e Banca Asiatica d’investimento), flette i suoi primi timidi tentacoli militari (Mar Cinese Meridionale; portaerei e sommergibili nucleari tattici; base a Gibuti).

L’Unione Europea è in perenne transizione, un processo di integrazione sempre incompiuto: polarizzata dagli squilibri di una ristrutturazione produttiva continentale; sottoposta alle spinte centrifughe della crisi, che rilanciano interessi ed identità nazionali; fratturata dalle diverse linee di sviluppo dei suoi principali paesi imperialisti.

Nel contempo, alcuni paesi a medio sviluppo (Russia, Turchia, Iran, Arabia Saudita, ecc), terremotati dal cambio di fase della crisi mondiale, giocano una propria politica di potenza, difensiva o offensiva, per consolidarsi lungo le linee di frattura internazionali.

La guerra è allora la prospettiva del nostro quotidiano. Anzi, diverse guerre.

Quelle dei poli imperialisti, per consolidare o sviluppare le proprie aree di influenza. Quelle tra potenze, per ritagliarsi un proprio posto al sole, minacciato dalla crisi. Quelle nazionaliste o religiose, per salvare il proprio sviluppo capitalista disciplinando l’intera società dietro esercito (o milizia) e bandiera (o croce, o mezzaluna,..). Quelle democratiche e popolari, contro oppressioni dittatoriali e forze reazionarie. Quelle infine, sociali, per garantirsi una sopravvivenza nelle barbarie di uno sviluppo accelerato (con enormi migrazioni di massa verso le metropoli), precipitato in una Grande Crisi di lunga durata.

In questa moltiplicazione dei conflitti e degli attori, si confonde spesso la radice di classe degli scontri in corso: i fronti della lotta si intrecciano e si sovrappongono, con alleanze improbabili, complicità clandestine ed improvvisi cambi di campo.

Per queste ragioni il PCL aderisce e partecipa, con l'autonomia delle proprie posizioni e delle proprie proposte, alla giornata di iniziative unitarie contro la guerra del 16 gennaio 2016, a partire dalle manifestazioni previste a Roma e Milano. Questo appuntamento rappresenta infatti il primo tentativo di costruire una risposta politica pubblica alla nuova fase che si è aperta lo scorso autunno, con gli attentati di Parigi ed il nuovo protagonismo imperialista in Medioriente (compresa l’entrata in scena dell’attore Russo). Una prima risposta tanto più urgente, dal momento che in queste settimane la NATO e l’Italia stanno preparando nuovi interventi armati (della diga di Mosul alla Libia).

Siamo in piazza per l’urgenza delle cose e per il silenzio della sinistre. In questa dinamica complessiva, infatti, non siamo semplicemente di fronte all’ennesimo intervento militare. Siamo di fronte al precipitare combinato di tensioni fra poli imperialisti, nel pieno di una Grande Crisi mondiale, con guerre sociali, politiche, religiose e di potenza che fra loro si intrecciano e si imbastardiscono.

Per questo, come PCL, riteniamo importante sottolineare le radici di classe di queste guerre.

In primo luogo, contro il nostro imperialismo: quello italiano. Il nostro coinvolgimento è diretto: non è subordinato ad altre politiche o influenze; è soprattutto al servizio dei nostri interessi imperialisti, dell'ENI e del grande capitale italiano, oltre che alle glorie tricolori del governo Renzi. Per questo la mobilitazione contro la guerra non può essere una mobilitazione generica, pacifista; interclassista, astratta dai concreti interessi che sorreggono questi interventi militari: per battersi contro questa guerra, bisogna costruire l’opposizione sociale e di classe contro governo e padronato.

In secondo luogo, l'opposizione alla guerra ha per noi senso solo nella prospettiva dell’alternativa socialista, unica vera alternativa alla barbarie dell'imperialismo e del fondamentalismo reazionario. Per questo appoggiamo nei conflitti le forze classiste e rivoluzionarie, contro la partecipazione ad ampi fronti popolari o Comitati di Liberazione Nazionale interclassisti; per l’autodeterminazione dei popoli, ma contro alleanze nazionaliste con forze borghesi (in Siria come nell’Unione Europea).

Questa sono le nostre ragioni e proposte. Ma pensiamo sia soprattutto necessario sviluppare un fronte ampio di mobilitazione, contro la guerra e contro tutti gli imperialismi o le politiche di potenza, al fianco delle masse oppresse e sfruttate della nazione araba, del Medio Oriente, di tutti i paesi coinvolti nei conflitti.

La mobilitazione di oggi allora non deve concludersi qui, deve trovare forme e modalità per proseguire e soprattutto per allargarsi, costruendo un fronte unitario della sinistra politica e sociale. Per questo riteniamo utile la costruzione di comitati unitari attorno alla discriminante dell'opposizione alla guerra, nella diversità di analisi e posizioni, impegnati nell'organizzazione dell'iniziativa comune. 


PER UN NUOVO INTERNAZIONALISMO PER UN’ALTERNATIVA SOCIALISTA


PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI

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