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venerdì 26 giugno 2015

La rottura col PD



La rottura col Partito Democratico è la prima necessità politica del movimento operaio. Nonostante la sua natura compiutamente borghese, e i suoi solidi legami con la borghesia, il PD ha continuato ad inglobare nella propria area di riferimento la maggior parte del “popolo della sinistra”, grazie alla finzione distorta del gioco bipolare (“contrapposizione a Berlusconi”).

Specularmente, la subordinazione al PD del grosso delle sinistre politiche e sindacali ha contribuito in modo decisivo a coprire e consolidare l'equivoco del bipolarismo, e con esso l'influenza del liberalismo su ampi settori di massa. Solo una rottura col PD può dunque liberare uno sviluppo indipendente del movimento operaio, della sua azione di massa, politica e sindacale, della costruzione di un'alternativa di classe.

Questa battaglia per la rottura del movimento operaio col PD è resa oggi ancor più attuale dalla crisi profonda del PD.

La crisi della seconda Repubblica, unita all'esperienza dei governi di unità nazionale tra PD e Berlusconi hanno introdotto un fatto nuovo nel rapporto tra il PD e una parte del suo “mondo” di riferimento: che tende a ribellarsi, sino a fenomeni di rigetto del partito stesso. Questo fenomeno è segnato da molti limiti. Non è maturato, per lo più, da un versante di classe ma da un confuso versante democratico. Non è precipitato in reazione a misure anti operaie, come art. 18 e legge Fornero. E’ precipitato piuttosto in reazione al “tradimento” del bipolarismo alla sconfessione delle promesse elettorali. La stessa vittoria di Renzi nel PD ha raccolto questa pulsione e i suoi equivoci. E’ la misura di quanto a lungo abbia scavato l'inganno bipolare, e della crisi del movimento operaio italiano.

E tuttavia, in una forma distorta e su un terreno spurio, si esprime un fenomeno inedito, che può avere una ricaduta di classe. La scalata di Renzi nel PD ha un risvolto contraddittorio: da un lato registra l'involuzione bipolare e l'influenza populista su un largo settore di elettorato di centrosinistra; dall'altro rappresenta un fenomeno di più marcata rottura con quella tradizione della sinistra politica che il PD liberale aveva cercato di rappresentare simbolicamente per ingannare una parte del suo elettorato. L'equivoco del PD come “partito di sinistra” non si è dissolto con Renzi, ma ha subito un colpo agli occhi di un settore degli stessi attivisti ed iscritti del partito. Mai come oggi si pone l'occasione di una battaglia per l'emancipazione politica del movimento operaio dal liberalismo e dal bipolarismo.

Le sinistre politiche e sindacali lavorano contro questa prospettiva. La burocrazia Cgil assiste silente alla crisi del PD, nell'eterna attesa di un futuro governo cui poter appendere la concertazione col padronato. Il gruppo dirigente Fiom continua a lavorare come lobby per e verso un “nuovo” centro sinistra, in parte quale sponda a Sel. Il risultato di queste politiche è che la crisi profonda del PD può risolversi a “destra”: liberando consensi verso il grillismo e l’estrema destra di Salvini. Con nuovi effetti pesantemente negativi sul movimento operaio.

Contro queste politiche, la battaglia per un fronte unico di classe, autonomo e alternativo al Pd, è oggi centrale: tra i lavoratori, nei movimenti sociali, nelle organizzazioni di massa, in tutta la sinistra italiana.

Partito Comunista dei Lavoratori

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