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lunedì 1 marzo 2021

CONTRO IL GOVERNO DRAGHI OPPOSIZIONE DI CLASSE

 

Per il più ampio fronte unitario della classe lavoratrice!

Editoriale di Marco Ferrando – Unità di Classe – Giornale Comunista dei lavoratori

marzo 2021

 


 

 

La nascita del governo Draghi segna una svolta importante dello scenario politico italiano. La crisi degli equilibri politici borghesi, e la straordinaria profondità della crisi capitalista, hanno prodotto una soluzione di eccezione: un governo di unità nazionale guidato dall’esponente di maggior prestigio del capitale finanziario. Non è il “Commissariamento dell’Italia da parte dell’Unione Europea”, come vuole la propaganda sovranista. È il tentativo di rilancio del capitalismo italiano all’interno dell’Unione e sullo scacchiere mediterraneo, nel segno di una spiccata linea atlantista. Di certo mai negli ultimi decenni la borghesia italiana è stata tanto unanime, al di là delle sue contraddizioni interne, nella venerazione di un proprio Presidente del Consiglio. La sua solenne investitura presidenziale è parte di questo scenario, così come l’annunciata ascesa di Draghi alla Presidenza della Repubblica nel 2022. Non è e non sarà un replay del governo Monti. La sua composizione coinvolge direttamente la quasi totalità dei partiti borghesi, scattati sull’attenti alla chiamata della Presidenza della Repubblica. Persino la furbesca “opposizione” di Fratelli d’Italia si annuncia “responsabile e patriottica”. Inoltre, le disponibilità finanziarie di cui il governo si avvale sono straordinarie perché legate alla svolta delle politiche di bilancio in Europa: saranno mobilitate a sostegno della ristrutturazione capitalistica con un investimento concentrato sull’alta tecnologia, la digitalizzazione, la nuova frontiera della mobilità elettrica, le grandi opere infrastrutturali. Una gigantesca mole di soldi presi a prestito sul mercato finanziario – attraverso l’indebitamento continentale e nazionale – verrà girata sul portafoglio delle banche e dei capitalisti. La Next Generation pagherà il conto dell’operazione. Lo stesso ricorso al Recovery Fund non è gratis. Per attingere al fondo comune continentale – una sorta di cassa di mutua assistenza del capitale europeo – i diversi Stati capitalisti si impegnano a completare le famigerate riforme strutturali a garanzia del capitale finanziario. Nel caso dell’Italia, principale beneficiaria, si tratta del cosiddetto “ritorno alla Legge Fornero”, con la cancellazione dell’elemosina di quota 100; della riorganizzazione ancor più privatistica della pubblica amministrazione; di un nuovo codice degli appalti che riduca ulteriormente l’intralcio di ogni regolazione; e soprattutto di un controllo della forza lavoro nelle fabbriche ulteriormente disciplinato. Non sarà una missione semplice. La fuoriuscita dalla pandemia inciampa sul ritardo della vaccinazione di massa imposto dalle grandi aziende farmaceutiche e dallo sfascio strutturale del sistema sanitario. Le nuove varianti del virus impongono ulteriori restrizioni. Le restrizioni ostacolano la ripresa dell’economia, e appesantiscono la zavorra del debito pubblico. L’Italia è per ora protetta dall’acquisto dei titoli della BCE, che abbatte i tassi di interesse. Ma fino a quando? La questione del debito italiano tornerà presto a rappresentare una questione europea. La rinegoziazione continentale delle politiche di bilancio, una volta archiviata la pandemia, ripartirà da lì. Il nuovo governo lavora in salita. La retorica tronfia che ha accompagnato il suo esordio è già in parte sfiorita. L’unità nazionale è attraversata da numerose crepe, dalla scissione interna della principale forza parlamentare, dai sommovimenti interni al PD, dall’esigenza di Salvini di difendersi dalla concorrenza di Fratelli d’Italia. La prossimità delle elezioni amministrative, e la relativa vicinanza delle elezioni politiche, tanto più nel caso dell’ascesa di Draghi alla Presidenza della Repubblica, moltiplicheranno tensioni e frizioni. Ma soprattutto il governo è chiamato alla prova del fuoco dello sblocco dei licenziamenti. Draghi teme come la peste il conflitto sociale. Non a caso ha impostato una politica di concertazione con le burocrazie sindacali e con Landini in primis con l’obiettivo di sminare il terreno. Ma il terreno che Draghi vuole sminare è lo stesso su cui deve avanzare. Lo chiede Confindustria, grande sponsor del nuovo governo, che ora vuole incassare il dividendo. Lo chiede l’intero blocco dominante, che si attende da Draghi atti di svolta. Tutto lascia pensare che al più tardi i licenziamenti saranno sbloccati a giugno in parallelo con un possibile potenziamento della Naspi. Tra aziende “zombie” abbandonate alla chiusura e aziende “sane” con libertà di ristrutturare si profila una valanga sociale di notevoli proporzioni. Un milione di lavoratori licenziati che si somma ai 600000 precari già buttati in mezzo alla strada nell’anno trascorso. Una ecatombe.

Il governo dispone al piede di partenza  di una opinione pubblica favorevole.  Ma la veste di “salvatore della Patria”  che la stampa borghese ha donato a  Draghi potrebbe rivelarsi un boomerang.  Peraltro, la stessa attesa fiduciosa  convive già oggi con una sottile diffidenza,  memore dell’esperienza Monti.  Allora la tensione sociale prodotta dalla  crisi e dal trauma della delusione trovò  nel populismo reazionario la propria  valvola di sfogo passivo. Fu il momento  della grande ascesa del M5S, poi sgonfiatosi  a vantaggio di Salvini. Ma ora la  svolta dell’unità nazionale col pieno  coinvolgimento di M5S e Lega sancisce  il tracollo delle narrazioni populiste  e della loro credibilità presso milioni  di lavoratori salariati. Il fallimento di  tutte le illusioni reazionarie “anti-euro”  e “anti-casta”, seminate per anni da  imbonitori e giullari, non potrebbe  essere più clamoroso.  Va detto forte e chiaro in ogni  sede: i fatti dimostrano una volta di  più che la linea divisoria vera non è  quella che passa tra euro e no euro,  tra popolo e casta, tra italiani e immigrati,  ma è quella che passa tra capitale  e lavoro. Se la borghesia raduna  attorno a sé tutti i suoi partiti in una  grande unità nazionale, va costruito  contro la borghesia il più ampio fronte  unico della classe lavoratrice e di tutte  le sue organizzazioni. Ricostruire una  opposizione di classe e di massa, definire  una piattaforma di lotta indipendente  che si ponga all’altezza del livello  annunciato dello scontro, unire nella  lotta la propria azione, è oggi il compito  dell’avanguardia, ovunque collocata. 

Fuori da ogni logica di autorecinzione. 

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